Featured

Legge Pinto ed Equo Indennizzo

E’ oramai tristemente nota la lungaggine dei processi, in Italia l’esercizio della giustizia non è materia semplice. I tempi dei processi sono biblicamente lunghi nonostante persino i padri costituenti, conoscendo forse le tendenze autodistruttive dell’italiota si fossero preoccupati di garantire il diritto ad un procedimento celere.
Tutti i cittadini si trovano spesso a dover fare i conti con processi senza fine, per vedersi riconoscere un diritto, o quantomeno poter scrivere la parola fine su un contenzioso durato anni.

Più volte il legislatore ha tentato di introdurre modifiche al Processo senza però raggiungere alcun risultato positivo che potesse garantire una maggior celerità.

Ebbene, in base alla L. 89 del 24 marzo 2001 (c.d. “ legge Pinto”), chi, attore o convenuto, è, o è stato, coinvolto in un procedimento per un periodo di tempo irragionevole, HA DIRITTO AD UNA EQUA RIPARAZIONE indipendentemente dall’esito del processo.

La legge 89 del 24 marzo 2001, infatti, ha recepito i principi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in relazione al mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che testualmente recita:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge”.

Tale norma diviene strumento volto ad ottenere una equa riparazione a colui che ha subito un danno patrimoniale e non patrimoniale per effetto della violazione dei succitati principi della Convenzione, peraltro già costituzionalmente previsti.

Sicché l’eccessiva domanda di risarcimenti ha spinto il legislatore ha riformare la materia apportando numerose modifiche, introdotte dal D.L.8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni nella L. 6 giugno 2013, n. 64 e dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134. Tutte queste innovazioni non hanno fatto altro che inserire diversi “cavilli” con il malcelato tentativo di scoraggiare l’inoltro di ulteriori domande.
Nonostante l’introduzione di questi “cavilli”, è ancora possibile ottenere diverse migliaia di euro come indennizzo per essere stato parte di un procedimento eccessivamente lungo.

A QUANTO AMMONTA L’EQUO INDENNIZZO ?

In base alla legge Pinto, e successive modifiche, qualora il procedimento superi una durata di tempo ragionevole, stimata dal legislatore in 3 anni per il procedimento di primo grado, 2 anni per il secondo ed 1 anno per la cassazione a prescindere dall’esito della lite e/o in caso di conciliazione della lite.

SI HA DIRITTO AD UNA SOMMA DI DENARO PER OGNI ANNO DI ECCESSIVA DURATA DEL PROCESSO PARI A CIRCA 400-800 euro;

somma che può aumentare, di rado, in casi di particolare importanza (ed es. in tema di diritto di famiglia o stato delle persone, procedimenti pensionistici o penali, cause di lavoro o cause che incidano sulla vita o sulla salute).

La durata del tempo “ragionevole” deve tenere in considerazione diverse circostanze tra cui la complessità del procedimento ed il comportamento delle stesse parti e del giudice.

Per presentare il ricorso si ha un termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il processo. All’ incirca entro un anno si riuscirà quindi ad ottenere il dovuto risarcimento.

——>ATTENZIONE!!! Scaduti i sei mesi, la parte è considerata decaduta dal proporre il ricorso.

***

Se ritiene di aver subito o di subire un procedimento dalla durata irragionevole, ed hai intenzione di proporre ricorso per ottenere il dovuto risarcimento, chiama il numero verde 800-973078. Riceviamo presso lo Studio Legale in Bari.

***

Durante il primo colloquio valuteremo l’effettiva possibilità di ottenere il risarcimento previsto dalla legge Pinto e/o ricevere informazioni al riguardo.

***

Se vuoi conoscere i costi del servizio, clicca qui !

Ordinanza della Corte di Cassazione n. 1/2023: un’analisi approfondita sulla notifica del decreto di accoglimento

L’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 1/2023, pubblicata il 2 gennaio 2023, rappresenta un punto di svolta nell’interpretazione di importanti questioni legali. In questo articolo, esamineremo attentamente il contenuto di questa Ordinanza e approfondiremo particolarmente la tematica della notifica del decreto di accoglimento.

La questione della notifica del decreto di accoglimento

Uno degli aspetti centrali di questa Ordinanza riguarda la notifica del decreto di accoglimento. In molti casi, questo rappresenta un punto critico per il diritto processuale, dato che la notifica corretta e tempestiva del decreto è essenziale per garantire il diritto di difesa e la certezza del diritto. L’ordinanza n. 1/2023 ha ulteriormente definito la procedura corretta per la notifica del decreto di accoglimento, fornendo importanti linee guida per praticanti e avvocati.

Il contesto: la Legge Pinto

Per comprendere a fondo l’importanza di questa Ordinanza, è utile far riferimento alla cosiddetta Legge Pinto, che riguarda la risarcibilità della violazione del “termine ragionevole” del processo (Legge 89/2001). Questa legge ha introdotto importanti cambiamenti nel sistema giudiziario italiano, in particolare per quanto riguarda i tempi di conclusione dei processi. L’Ordinanza n. 1/2023 è particolarmente significativa in questo contesto, poiché ha contribuito a chiarire ulteriormente le procedure e le regole che riguardano la notifica del decreto di accoglimento.

Implicazioni pratiche

Le implicazioni pratiche dell’Ordinanza n. 1/2023 sono molteplici. In primo luogo, ha portato ad un maggiore rigore nella procedura di notifica del decreto di accoglimento, richiedendo che tale procedura sia rispettata in maniera scrupolosa per garantire il corretto svolgimento del processo. Questo ha conseguenze non solo per gli avvocati e i professionisti del diritto, ma anche per i cittadini che sono coinvolti in procedimenti legali.

In secondo luogo, l’Ordinanza ha contribuito a fare chiarezza su alcune questioni chiave relative alla Legge Pinto, offrendo una guida chiara su come gestire i casi in cui si invoca la violazione del “termine ragionevole” del processo. Questo ha avuto un impatto significativo sulla prassi giudiziaria e ha contribuito a ridurre l’incertezza legale in questi casi.

Conclusione

L’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 1/2023 ha quindi segnato un importante progresso nell’interpretazione e nell’applicazione del dir

itto processuale italiano. In particolare, ha fornito una guida preziosa sulla notifica del decreto di accoglimento, contribuendo a garantire che questo aspetto fondamentale del processo legale sia gestito correttamente.

Nonostante queste chiare linee guida, tuttavia, restano molte sfide e questioni complesse in questo campo. Per affrontare queste questioni, è essenziale poter contare su un team legale esperto e competente.

Se avete bisogno di assistenza o consulenza legale, i professionisti di PintoLex sono a vostra disposizione. Situato in via Camillo Rosalba n. 47/z a Bari, lo studio PintoLex offre assistenza legale di alto livello in tutta Italia. I nostri avvocati esperti vi guideranno attraverso ogni fase del processo legale, fornendo consigli chiari e affidabili. Non esitate a contattarci per una consulenza.

Legge Pinto: incostituzionale l’obbligo di presentazione dell’istanza di accelerazione del processo penale

La Corte costituzionale con la sentenza del 30 luglio 2021 n. 175 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della L. 24 marzo 2001, n. 89, che subordina il riconoscimento del diritto ad una equa riparazione all’esperimento del rimedio preventivo consistente nel depositare un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini ragionevoli previsti dall’art. 2, comma 2-bis.

Corte costituzionale
Sentenza 30 luglio 2021, n. 175
Presidente: Coraggio – Redattore: Petitti
[…] nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1-bis, comma 2, e 2, comma 1, in relazione agli artt. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a), b) e m), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosso dal Corte d’appello di Napoli nel procedimento vertente tra S. A. e il Ministero della giustizia, con ordinanza dell’11 marzo 2020, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2021 il Giudice relatore Stefano Petitti;

deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2021.

RITENUTO IN FATTO

1.- La Corte d’appello di Napoli, con ordinanza dell’11 marzo 2020, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 2020, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 2, in relazione agli artt. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a) e m), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», «nella parte in cui subordina il riconoscimento del diritto ad una equa riparazione in favore di chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata di un processo penale la cui durata al 31 ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti dall’art. 2, comma 2-bis, e che non sia stato ancora assunto in decisione alla stessa data, all’esperimento del rimedio preventivo consistente nel depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i detti termini».

Con la medesima ordinanza, la Corte d’appello di Napoli ha altresì censurato l’art. 2, comma 1, in relazione agli artt. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a), b) e m), della legge n. 208 del 2015, «nella parte in cui, con riferimento ai processi penali la cui durata al 31 ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti dall’art. 2, comma 2-bis, e a quelli non ancora assunti in decisione alla stessa data, sancisce l’inammissibilità della domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito il rimedio preventivo consistente nel depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i detti termini».

2.- Il giudice a quo premette che il ricorrente S. A. ha proposto in data 6 febbraio 2020 domanda di equa riparazione, ai sensi della legge n. 89 del 2001, per l’eccessiva durata di un processo penale a suo carico tuttora pendente in grado d’appello, nel quale è attualmente maturato un ritardo tale da legittimare la proposizione della domanda e che, tuttavia, al 31 ottobre 2016 non eccedeva i termini ragionevoli stabiliti dall’art. 2, comma 2-bis, della medesima legge. In tale processo non risulta presentata dall’imputato l’istanza di accelerazione prevista come rimedio preventivo dall’art. 1-ter, comma 2, della stessa legge n. 89 del 2001, aggiunto dall’art. 1, comma 777, lettera a), della legge n. 208 del 2015, in vigore dal 1° gennaio 2016. La mancata presentazione dell’istanza di accelerazione, avverte il giudice a quo, condurrebbe al diniego del diritto all’indennizzo e alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza, in virtù di quanto disposto dagli artt. 1-bis, comma 2, 2, comma 1, e 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, come rispettivamente introdotti e sostituiti dall’art. 1, comma 777, lettere a) e b), della legge n. 208 del 2015.

3.- La Corte d’appello di Napoli dubita della legittimità costituzionale delle richiamate disposizioni per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

4.- In punto di rilevanza della questione, l’ordinanza di rimessione espone che il giudizio penale presupposto, tuttora pendente in grado di appello, aveva raggiunto, al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, la durata di cinque anni, dieci mesi e dodici giorni, complessivamente superiore, pertanto, al termine ragionevole di cinque anni previsto dall’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001.

Negata la possibilità di ravvisare, nella fattispecie in esame, alcuna delle ipotesi di esclusione del diritto all’indennizzo o di presunta insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo contemplate dall’art. 2, commi 2-quinquies, 2-sexies e 2-septies, della legge n. 89 del 2001, il giudice a quo evidenzia che il ricorrente non aveva depositato l’istanza di accelerazione di cui al comma 2 dell’art. 1-ter della legge n. 89 del 2001, sebbene al 31 ottobre 2016 la durata del processo penale presupposto non avesse ancora ecceduto i termini di durata ragionevole. L’interessato, infatti, aveva acquisito conoscenza dello stesso processo in forza della notificazione del decreto penale di condanna del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torre Annunziata avvenuta il 21 ottobre 2013; il 12 settembre 2016 era poi stata depositata dal medesimo Tribunale la sentenza di condanna e il 16 settembre era stato depositato dal difensore dell’imputato l’atto di appello, ancora pendente al momento della proposizione della domanda di equa riparazione. Non trova perciò applicazione la norma transitoria contenuta nell’art. 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, che esclude l’operatività del precedente art. 2, comma 1, nei processi la cui durata eccedesse già al 31 ottobre 2016 i termini ragionevoli di cui all’art. 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data. La Corte d’appello di Napoli spiega così che il giudizio di equa riparazione deve essere definito facendo applicazione degli artt. 1-bis, comma 2, e 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001, in combinato disposto con gli artt. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della stessa legge, arrivando, in forza delle disposizioni di cui è denunciata l’illegittimità costituzionale, a negare il diritto all’indennizzo ed a dichiarare inammissibile la domanda proposta.

5.- A sostegno della non manifesta infondatezza della questione, l’ordinanza di rimessione richiama la sentenza n. 169 del 2019 di questa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, nel testo introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134. Tale norma analogamente negava il diritto all’equa riparazione in favore dell’imputato che non avesse «depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini di cui all’art. 2-bis». Viene del pari richiamata la sentenza costituzionale n. 34 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) e dall’art. 1, comma 3, lettera a), numero 6, del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell’articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69). La Corte d’appello di Napoli rievoca altresì la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di necessaria effettività dei rimedi preventivi, volti ad evitare l’eccessiva durata del procedimento. Ad avviso del giudice a quo, gli artt. 1-bis, comma 2, e 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001, entrambi in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della stessa legge, parimenti contrasterebbero con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, atteso che, al deposito dell’istanza di accelerazione, ad opera dell’imputato o di una delle altre parti del giudizio penale, non corrisponderebbe alcuna effettiva diversa considerazione della vicenda processuale, tale da assicurarne, almeno tendenzialmente, la definizione entro il termine ragionevole. Piuttosto, le norme censurate imporrebbero un inutile adempimento formale, con l’effetto di mera «prenotazione della decisione» (la quale può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio) e di pura e semplice manifestazione di un interesse già altrimenti presente nel processo e avente copertura costituzionale.

In sostanza, osserva la Corte d’appello di Napoli, l’istanza di accelerazione del processo penale continuerebbe a non rappresentare un rimedio preventivo effettivamente sollecitatorio, nei termini precisati dalla giurisprudenza della Corte EDU e dalle sentenze di questa Corte, tanto più ove si consideri che, a mente dell’art. 1-ter, comma 7, della legge n. 89 del 2001, anche in caso di esperimento dei rimedi contemplati dallo stesso articolo, «restano ferme le disposizioni che determinano l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti».

È pur vero, aggiunge l’ordinanza di rimessione, che l’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, disponendo che l’istanza di accelerazione venga presentata dall’imputato e dalle altre parti del processo penale con anticipo di almeno sei mesi rispetto alla scadenza dei termini fissati dall’art. 2, comma 2-bis, pone a carico degli stessi un onere di diligenza più incisivo di quello prescritto (peraltro nei confronti del solo imputato) dalla previgente previsione di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della medesima legge, in base alla quale, invece, il deposito di tale istanza doveva essere effettuato nei trenta giorni successivi al superamento dei predetti termini. Ciò, tuttavia, non comporta che il rimedio in esame, seppur attualmente prefigurato come «preventivo», possa essere altresì ritenuto «effettivo», ai sensi dell’art. 13 CEDU, in quanto, anche a seguito della novella introdotta dalla legge n. 208 del 2015, il sistema giuridico nazionale continua a non prevedere alcuna condizione volta a garantire il sollecito esame e il positivo riscontro dell’istanza di accelerazione, né tantomeno a predisporre idonee misure finalizzate a velocizzare la decisione da parte del giudice al quale una siffatta istanza sia stata tempestivamente rivolta.

Da ultimo, il giudice a quo esclude la possibilità di una interpretazione convenzionalmente orientata delle norme sospettate di illegittimità costituzionale, atteso il tenore letterale delle stesse.

6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato atto di intervento, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

La difesa statale contesta l’analogia fra la questione sollevata dalla Corte d’appello di Napoli e quelle decise con le sentenze n. 169 del 2019 e n. 34 del 2019 di questa Corte, evidenziando come le indicate modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015 alla “legge Pinto” abbiano inserito, con l’art. 1-ter della medesima legge n. 89 del 2001, un sistema di rimedi preventivi, da sperimentare con congruo anticipo rispetto allo spirare dei termini, previsti dall’art. 2, comma 2-bis, della legge stessa, all’esito del quale si concretizza il diritto all’equa riparazione. Nell’ambito di tali rimedi si colloca l’istanza di accelerazione, di cui al comma 2 del citato art. 1-ter, che l’imputato e le altre parti hanno il diritto di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini predetti. L’Avvocatura generale auspica, pertanto, l’estensione alla questione in esame delle considerazioni svolte nella sentenza di questa Corte n. 121 del 2020, sottolineando come, diversamente dall’istanza che formava oggetto del previgente art. 2, comma 2-quinquies, della legge n. 89 del 2001, l’istanza di accelerazione del processo penale prevista dall’art. 1-ter, comma 2, della medesima legge abbia “natura effettivamente preventiva”, poiché la parte interessata ha la facoltà di proporla ben sei mesi prima dello spirare del termine oltre il quale la durata del processo viene considerata eccessiva e non, come nella precedente ipotesi, successivamente alla scadenza di tale termine.

Nell’atto di intervento si contesta anche l’asserita mancanza di “effettività” della nuova istanza di accelerazione in rapporto alla durata del processo, affermandosi che l’autorità giudiziaria, presso la quale pende il procedimento, non potrà non tenerne conto al fine di scandire i tempi di eventuali rinvii e di poter giungere tempestivamente alla decisione nel congruo tempo a disposizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La Corte d’appello di Napoli, con ordinanza dell’11 marzo 2020 (r.o. n. 173 del 2020), ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 2, in relazione agli artt. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a) e m), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», «nella parte in cui subordina il riconoscimento del diritto ad una equa riparazione in favore di chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata di un processo penale la cui durata al 31 ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti dall’art. 2, comma 2-bis, e che non ancora sia stato assunto in decisione alla stessa data, all’esperimento del rimedio preventivo consistente nel depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i detti termini».

Con la medesima ordinanza, la Corte d’appello di Napoli dubita anche, in riferimento ai medesimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, in relazione agli artt. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a), b) e m), della legge n. 208 del 2015, «nella parte in cui, con riferimento ai processi penali la cui durata al 31 ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti dall’art. 2, comma 2-bis, e a quelli non ancora assunti in decisione alla stessa data, sancisce l’inammissibilità della domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito il rimedio preventivo consistente nel depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i detti termini».

2.- L’ordinanza di rimessione richiama le sentenze di questa Corte n. 169 del 2019 e n. 34 del 2019, nonché la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di necessaria effettività dei rimedi preventivi, volti ad evitare l’eccessiva durata del procedimento. Ad avviso del giudice a quo, gli artt. 1-bis, comma 2, e 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001, entrambi in relazione all’art. 1-ter, comma 2, e 6, comma 2-bis, della stessa legge, contrasterebbero con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, atteso che, al deposito dell’istanza di accelerazione, ad opera dell’imputato o di una delle altre parti del giudizio penale, non corrisponderebbe alcuna effettiva diversa considerazione della vicenda processuale, tale da assicurarne, almeno tendenzialmente, la definizione entro il termine ragionevole. Le norme censurate imporrebbero, piuttosto, un inutile adempimento formale, senza rappresentare un rimedio preventivo effettivamente sollecitatorio.

3.- L’Avvocatura generale dello Stato ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, evidenziando come le modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015 alla legge n. 89 del 2001 abbiano introdotto un sistema di rimedi preventivi, nell’ambito dei quali si colloca l’istanza di accelerazione, prevista dall’art. 1-ter, comma 2, che va proposta sei mesi prima dello spirare del termine oltre il quale la durata del processo viene considerata eccessiva e della quale deve tener conto l’autorità giudiziaria presso cui pende il procedimento presupposto, al fine di modulare i tempi degli eventuali rinvii e di poter giungere tempestivamente alla decisione.

4.- Entrambe le questioni sollevate dal rimettente interrogano questa Corte sulla legittimità costituzionale della disciplina legislativa in forza della quale la mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale, di cui all’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, comporta la inammissibilità, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della medesima legge, della domanda di equa riparazione.

Pertanto, pur se il rimettente estende la censura di legittimità costituzionale ad altre disposizioni (artt. 1-bis, comma 2, e 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001), lo scrutinio da parte di questa Corte deve incentrarsi sulla conformità a Costituzione dell’art. 2, comma 1, di tale legge, in riferimento all’art. 1-ter, comma 2, della stessa.

Deve, infatti, rilevarsi che, a norma dell’art. 1-bis, comma 2, «[c]hi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all’articolo 1-ter, ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione»; tale disposizione si limita chiaramente a riconoscere il diritto della parte che ha esperito i rimedi preventivi ad agire per ottenere l’equa riparazione da irragionevole durata del processo e postula, ovviamente, la legittimità dei rimedi preventivi che contempla, sicché la decisione in ordine ad essa è condizionata da quella che si assume in ordine alla sanzione di inammissibilità per effetto della mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale.

L’art. 6, comma 2-bis, d’altra parte, detta la disciplina transitoria finalizzata all’applicazione dei rimedi preventivi di cui all’art. 1-ter, stabilendo che «[n]ei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’articolo 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica il comma 1 dell’articolo 2». Quest’ultima norma, più che dare luogo essa stessa al dubbio di legittimità costituzionale prospettato dal rimettente, comporta l’applicabilità della disposizione censurata nel giudizio presupposto e quindi la rilevanza delle questioni. Il rimettente, del resto, non dubita in via diretta della legittimità costituzionale della disciplina transitoria, sicché la decisione ad essa relativa non potrà, del pari, che discendere dalla decisione che si adotta in ordine alla disciplina a regime, applicabile nel giudizio principale per effetto della disposizione transitoria.

Tanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, sono fondate.

4.1.- Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge n. 89 del 2001 – come sostituito dall’art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 – nella parte in cui era negata la proponibilità della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento presupposto (sentenza n. 88 del 2018), questa Corte ha rilevato la carenza di «concreta efficacia acceleratoria» dei rimedi preventivi allestiti dalla legge n. 208 del 2015, posto che gli strumenti elencati dall’art. 1-ter della legge n. 89 del 2001 «alla luce della loro disciplina processuale, non vincolano il giudice a quanto richiestogli e, […] per espressa previsione normativa, “[r]estano ferme le disposizioni che determinano l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti”» (art. 1-ter, comma 7, della legge n. 89 del 2001).

4.2.- Con la sentenza n. 34 del 2019 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale «dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 […], convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 […] e dall’art. 1, comma 3, lettera a), numero 6, del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 […]», considerando che l’istanza di prelievo nei processi amministrativi – da detta norma disciplinata, «prima della rimodulazione come rimedio preventivo operatane dalla legge n. 208 del 2015» – costituiva non un adempimento necessario, ma «una mera facoltà del ricorrente […] con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia né con l’obiettivo del contenimento della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata».

4.3.- La sentenza n. 169 del 2019 ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 83 del 2012, come convertito, il quale prevedeva che «[n]on è riconosciuto alcun indennizzo: […] e) quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini [di sua ragionevole durata] di cui all’articolo 2-bis [recte: all’art. 2, comma 2-bis]» della legge n. 89 del 2001. In tale occasione, questa Corte ha affermato che «la suddetta istanza, non diversamente dall’istanza di prelievo nel processo amministrativo, non costituisce […] un adempimento necessario ma una mera facoltà dell’imputato e non ha – ciò che è comunque di per sé decisivo − efficacia effettivamente acceleratoria del processo. Atteso che questo, pur a fronte di una siffatta istanza, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di sua ragionevole durata, senza che la violazione di detto termine possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità del ricorrente». La predetta sentenza ha comunque precisato che la mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale presupposto poteva eventualmente assumere rilievo ai fini della determinazione del quantum dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.

4.4.- Da ultimo, la sentenza n. 121 del 2020, con riferimento ai rimedi preventivi introdotti per i processi civili dalla legge n. 208 del 2015 (art. 1-ter, comma 1, della legge n. 89 del 2001) quale condizione di ammissibilità della domanda di equo indennizzo, ha invece ritenuto gli stessi, per l’effetto acceleratorio della decisione che può conseguirne, riconducibili alla categoria dei «rimedi preventivi volti ad evitare che la durata del processo diventi eccessivamente lunga», in quanto consistenti non già nella «proposizione di un’istanza con effetto dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” – che si riduce ad un adempimento puramente formale -», ma nella «proposizione di possibili, e concreti, “modelli procedimentali alternativi”, volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato».

4.5.- Le richiamate sentenze di questa Corte sono del tutto coerenti con la giurisprudenza della Corte EDU, per la quale, ai fini della “effettività” dei ricorsi relativi a cause concernenti l’eccessiva durata dei procedimenti, la migliore soluzione in termini assoluti è la prevenzione. Ciò comporta che, rispetto all’obbligo di esaminare le cause entro un termine ragionevole, imposto dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU agli Stati contraenti, alle eventuali carenze del sistema giudiziario può sopperire nella maniera più efficace un ricorso finalizzato ad accelerare i procedimenti. Tale ricorso è da preferire ad un rimedio meramente risarcitorio, ma è “effettivo” soltanto nella misura in cui rende più sollecita la decisione da parte del tribunale interessato ed è adeguato solo se non interviene in una situazione in cui la durata del procedimento è già stata chiaramente eccessiva (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 25 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, e, più di recente, sentenza 30 aprile 2020, Keaney contro Irlanda).

4.6.- Ad identiche conclusioni deve pervenirsi con riferimento all’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui comportano l’inammissibilità della domanda di equa riparazione proposta dall’imputato o da altra parte del processo penale che non abbiano depositato un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’art. 2, comma 2-bis. Le disposizioni censurate contrastano con l’esigenza del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata, e con il diritto ad un ricorso effettivo, garantiti dagli evocati parametri convenzionali, la cui violazione implica, per interposizione, quella dell’art. 117, primo comma, Cost.

4.7.- Il deposito dell’istanza di accelerazione nel processo penale, pur presentato come diritto alla stregua dell’art. 1-bis, comma 1, della legge n. 89 del 2001, opera, piuttosto, come un onere, visto che il mancato adempimento, in base al comma 1 del successivo art. 2, comporta l’inammissibilità della domanda di equa riparazione. Tuttavia, la presentazione dell’istanza, che pur deve intervenire almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini ragionevoli fissati per ciascun grado dall’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, non offre alcuna garanzia di contrazione dei tempi processuali, non innesta un modello procedimentale alternativo e non costituisce perciò uno strumento a disposizione della parte interessata per prevenire l’ulteriore protrarsi del processo, né implica una priorità nella trattazione del giudizio, come chiarisce il comma 7 dell’art. 1-ter della stessa legge, in base al quale restano fermi, nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, i criteri dettati dall’art. 132-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).

4.8.- In tal senso, l’istanza di accelerazione prevista dalle norme censurate, quale facoltà dell’imputato e delle altre parti del processo penale, non rivela efficacia effettivamente acceleratoria del giudizio, atteso che questo, pur a fronte dell’adempimento dell’onere di deposito, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di ragionevole durata, senza che la violazione dello stesso possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità della parte. La mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale può eventualmente assumere rilievo ai fini della determinazione della misura dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non deve condizionare la proponibilità della correlativa domanda.

4.9.- Va, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a) e b), della legge n. 208 del 2015.

Per le ragioni esposte al punto 4, restano assorbite le questioni di legittimità costituzionale concernenti l’art. 1-bis, comma 2, e l’art. 6, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, in relazione all’art. 1-ter, comma 2, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 777, lettere a) e b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».

Legge Pinto: dopo la riforma del 2012 non occorre allegare la procura speciale

Cassazione Civile Sez. VI, 03/03/2017, n. 5465
Non occorre la sottoscrizione di un difensore munito di procura speciale per i ricorsi per equa riparazione proposti dopo le modifiche del 2012 alla legge Pinto.

La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 5465 del 03/03/2017 interrogata sulla necessità di allegazione della procura speciale alla domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo ha accolto i motivi di ricorso con la motivazione seguente: “il nuovo testo della legge nr. 89/01, come modificata dal D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, non stabilisce più che la domanda debba essere proposta da un difensore munito di procura speciale, come invece disponeva l’originario art. 3, secondo comma, della legge.
Infatti, tanto l’art 3, 1 comma, quanto l’art. 5-ter, 2° comma, della legge n. 89/01, applicabili al momento della proposizione della domanda d’equa riparazione in oggetto (depositata il 23.12.2013), riproducono del 2° comma dell’art. 3 previgente solo il richiamo all’art. 125 c.p.c., ma non anche la previsione che il ricorso sia sottoscritto da un difensore munito di procura speciale. Dal che si ricava che detto requisito non è più imposto dalla legge, coerentemente all’ottica (espressa in generale nella Relazione alla legge di conversione) di un maggiore semplificazione del contenzioso in materia.”

***

Se ritiene di aver subito o di subire un procedimento dalla durata irragionevole, ed hai intenzione di proporre ricorso per ottenere il dovuto risarcimento, chiama il numero verde 800-973078. Riceviamo presso lo Studio Legale in Bari.

***

Durante il primo colloquio valuteremo l’effettiva possibilità di ottenere il risarcimento previsto dalla legge Pinto e/o ricevere informazioni al riguardo.

***

Se vuoi conoscere i costi del servizio, clicca qui !

***

Fonte: Cassazione Civile Sez. VI, 03/03/2017, n. 5465

Piano straordinario di rientro del debito Pinto

Dal portale del Ministero di Giustizia è possibile leggere che per i pagamento dei decreti emessi dal 1° settembre 2015 dalle Corti di appello di Caltanissetta – Catanzaro – Genova – Lecce – Napoli – Perugia – Potenza – Roma – Salerno è prevista una deroga alla richiesta degli indennizzi che nelle altre Corti d’appello viene inoltrata alle ragionerie dei distretti competenti. Infatti l’elevato numero di decreti di condanna ancora da pagare, a causa dei modesti fondi inizialmente stanziati ha determinato il formarsi di un consistente debito arretrato non fronteggiabile se non attraverso un intervento straordinario.

Pertanto è stato elaborato un Piano di rientro dal debito che si avvale della collaborazione offerta da Banca d’Italia per lo smaltimento delle pratiche di pagamento.

La collaborazione con Banca d’Italia è stata rinnovata il 18 febbraio 2020, e prevede, a differenza di quanto previsto dalla precedente convenzione scaduta nel dicembre 2018, che l’istruttoria delle pratiche sia svolta interamente dall’Ufficio I.

Il Piano prevede che:

l’Ufficio I – Direzione generale degli affari giuridici e legali – proceda al pagamento dei provvedimenti di condanna dell’Amministrazione depositati a partire dal 1° settembre 2015 dalle nove Corti di Appello di Caltanissetta – Catanzaro – Genova – Lecce – Napoli – Perugia – Potenza – Roma – Salerno.

I decreti di condanna emessi a partire 1° settembre 2015 (data del deposito in cancelleria) dalle Corti di Appello suddette saranno, quindi, posti in pagamento dall’Amministrazione centrale per tramite della Banca d’Italia purché ritualmente notificati al Ministero presso l’Avvocatura dello Stato e quindi definitivi.

Infatti si ricorda che la notifica del ricorso, unitamente al decreto che accoglie la domanda di equa riparazione, deve essere effettuata entro il termine perentorio di 30 giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento al Ministero della giustizia presso l’Avvocatura dello Stato Distrettuale competente ed ai fini della liquidazione deve essere inoltrato il modulo unitamente al Decreto definitivo con attestazione di non opposizione.

ISTRUZIONI PER LA LIQUIDAZIONE PRESSO UFFICIO I

L’Ufficio I ha competenza relativamente al contenzioso nel quale è interessato il Ministero nelle seguenti materie:

pagamento spese di giustizia e liquidazione compensi ai collaboratori della autorità giudiziaria

equa riparazione per ingiusta detenzione ed errore giudiziario (la legittimazione passiva spetta al Ministero dell’economia e delle finanze)

libere professioni, ordini professionali, ricorsi contro circolari e decreti nelle materie di competenza del Dipartimento per gli affari di giustizia

risarcimento danni nei confronti dell’Amministrazione in dipendenza dell’attività di giustizia

responsabilità civile dei magistrati ex legge n.117/1988 (la legittimazione passiva spetta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri)

costituzione di parte civile nei procedimenti penali in cui il Ministero è parte offesa e danneggiato dal reato

esecuzione di sentenze ed altri provvedimenti giurisdizionali nelle sole materie di competenza del Dipartimento per gli affari di giustizia

equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89

CONTATTI – INOLTRO DOMANDE

L’Ufficio I – Contenzioso risponde alle richieste inoltrate dalle parti o dagli avvocati (esclusivamente per le pratiche per le quali questi ultimi abbiano ricevuto mandato o delega espressa) ai seguenti indirizzi:

posta elettronica ordinaria (PEO) ufficio1.dgdirittiumani.dag@giustizia.it

posta elettronica certificata (PEC) prot.dag@giustiziacert.it

RICHIESTA INFORMAZIONI

L’Ufficio I – Contenzioso legge Pinto, con riferimento al Piano straordinario di rientro dal debito in accordo con Banca Italia, per i decreti emessi a far data dal 1° settembre 2015 dalle Corti di Appello di Caltanissetta – Catanzaro – Genova – Lecce – Napoli – Perugia – Potenza – Roma – Salerno, risponde alle richieste delle parti o degli avvocati (esclusivamente per le pratiche per le quali questi ultimi abbiano mandato o delega espressa del cliente) con le seguenti modalità:

posta elettronica ordinaria (PEO) info.leggepinto.bankitalia.dgagl.dag@giustizia.it
gli interessati dovranno a tal fine utilizzare esclusivamente indirizzi di posta elettronica ordinaria (PEO) e non indirizzi di posta elettronica certificata (PEC)
trattandosi di mero servizio di informazione non potranno con tale mezzo essere inviati all’Amministrazione documenti e/o dichiarazioni.
Pertanto, non si terrà conto di eventuale documentazione finalizzata al pagamento ai sensi dell’art.5-sexies della legge n.89/01, dovendo tale documentazione pervenire esclusivamente al seguente indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) :prot.dag@giustiziacert.it
Poiché la risposta da parte dell’Ufficio richiede una verifica dello stato di lavorazione della pratica, il tempo di attesa non é preventivabile, su cui influirà il numero di richieste pervenute.

In ogni caso, l’ordine di trattazione è l’ordine cronologico di arrivo delle pec.

Equa riparazione: si applica sospensione feriale al termine semestrale di decadenza del ricorso ex Legge Pinto


Al termine semestrale di decadenza previsto dall’articolo 4 della legge n. 89/2001 per la proposizione della domanda di equa riparazione può essere applicata la sospensione feriale dei termini.

Con l’ordinanza del 24 settembre 2019, n. 23808, la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la decisione assunta, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Perugia.

La vicenda
La Corte d’appello di Perugia, con decreto n. 25X/2018, ha dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione proposta da Tizio e Caio, ai sensi della legge n. 89 del 2001, per l’irragionevole durata di un processo civile definito con ordinanza della Corte di cassazione pubblicata il 3 luglio 2009.

La Corte d’appello ha censurato la domanda di equa riparazione, in quanto presentata l’11 febbraio 2010, quindi dopo lo spirare del termine semestrale di cui all’articolo quattro della legge 89/2001, ovvero non considerando i termini della c.d. sospensione feriale.

Tizio e Caio hanno proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto provvedimento.

Con l’unico motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’articolo 4 della legge 89/2001 ed in particolare hanno evidenziato come – ai fini della verifica del rispetto del termine previsto da tale disposizione – la Corte non abbia applicato la sospensione feriale dei termini di cui alla legge n. 742/1969.

La decisione
La Corte di Cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 23808/2019, ha ritenuto il motivo fondato e ha accolto il ricorso.

Sul punto la Suprema Corte ha precisato che secondo il proprio costante orientamento, riconfermato ancora di recente con la sentenza Corte di Cassazione, n. 14493/2018 “il termine semestrale di decadenza previsto dall’articolo 4 della legge n. 89/2001 per la proposizione della domanda di equa riparazione soggiace alla sospensione feriale dei termini”.

Scarica la Sentenza
Ecco il link a: Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, ordinanza del 24 settembre 2019, n. 23808

Emergenza Covid – termini e Legge Pinto

Le necessità imposte dalla pandamia hanno, come noto, dettato la necessità della redazione del cosiddetto “Cura Italia”, il quale tra le altre cose ha disposto la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza, – comma 8 di detto articolo.

Per molti commentatori è logico, in via interpretativa, che, quanto meno sino al 15/04, essendo sospeso ogni termine, per il compimento di qualsivoglia atto processuale, anche introduttivo, deve necessariamente ritenersi sospeso anche il termine prescrizionale/decadenziale che con quell’atto si sarebbe dovuto interrompere/impedire.

Peraltro, tale nuova sospensione non può che essere letta in via analogica con la disciplina della sospensione feriale, per cui da tempo si è aperta la strada al superamento della distinzione netta tra termini sostanziali e termini processuali (riconoscendosi la natura sostanziale e al contempo processuale di alcuni termini: Corte Cost. 13/02/85 n.40, Corte Cost. 13/07/1987 n. 255) che ha portato, tra le altre, anche alla pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 1 della L.742/69 per la mancata sospensione del termine decadenziale (ritenuto “non processuale”) di impugnativa del verbale di assemblea condominiale (Corte Cost. 02/02/1990 n.49). Sul punto, la giurisprudenza ha recepito l’applicazione di tali pronunce, così rendendo inequivocabilmente condiviso il principio per cui nella “sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorché l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso” (Cass.28/02/18 n.4675 circa il termine semestrale per agire in forza della Legge Pinto; Cass.5423/16; Cass.10595/16 ecc.).

Talchè seguendo in via analogica tale principio appare lecito ritenere estensibile tale principio anche al termine decadenziale semestrale della normativa ex L. Pinto.

Ulteriormente, preme evidenziare in questa sede che ai sensi dell’art. 83, comma 10 del D.L. n°18/2020, per tutti i procedimenti in cui vi sia stato un rinvio d’udienza, causato dalla nota Pandemia, non si potrà tener conto, ai fini del maturarsi dell’equa riparazione di cui all’art. 2, della l. 89/01 (legge Pinto) del periodo compreso tra il 08/03/2020 ed il 30/06/2020.

Legge Pinto: Liquidazione – pagamento indennizzi e spese legali

Preliminarmente è necessario fare un distinguo tra i diversi soggetti resistenti, poiché per ognuno di essi è prevista una diversa modalità di liquidazione.

  • Ministero della Giustizia
  • Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF)

Liquidazione del Ministero della giustizia

A seguito della condanna del Ministero della giustizia, convenuto in giudizio ex L. Pinto provvede il medesimo Ministero così come previsto con il capitolo 1264 (“Somma occorrente per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi proposti dagli aventi diritto ai fini dell’equa riparazione dei danni subiti in caso di violazione del termine ragionevole del processo”), gestito dal Dipartimento per gli affari di giustizia.

In considerazione dell’elevato numero di condanne riportate dal Ministero della giustizia nei contenziosi ex lege n. 89/2001, il Dipartimento per gli affari di giustizia, sin dall’aprile 2005, ha delegato la liquidazione delle somme alle singole Corti di appello, “in un’ottica di decentramento e decongestione”, con relativo accreditamento di fondi prelevati dal capitolo 1264.

Pertanto l’effettiva liquidazione spessa all’Ufficio Ragioneria della Corte di Appello che ha emesso il decreto di condanna, anche con riferimento alle sentenze emesse dalla Corte di Cassazione ed all’esecuzione delle sentenze emesse dai giudici amministrativi per l’ottemperanza di provvedimenti decisori di cui alla legge n. 89/2001 e depositate dal primo ottobre 2013.

Cosa fare ottenuto il decreto di liquidazione ?

Procedere con la notifica del decreto (immediatamente esecutivo ex lege) unitamente al ricorso ed alla procura nei termini a parte resistente; atteso lo spirare dei termini di opposizione, richiedere il corrispondente certificato di mancata opposizione, quindi istruire la dichiarazione di liquidazione. Infatti, con l’introduzione della legge di stabilità 2016, il creditore ha l’onere di rilasciare all’amministrazione debitrice, ex art. 5 sexies Legge 89/01, una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 d.p.r. n.445/2000, attestante:

  • la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo
  • l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito
  • l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere
  • la modalità di riscossione prescelta

Tale dichiarazione, con la relativa documentazione, dovrà essere inviata

  • all’ufficio ragioneria della Corte di Appello competente, laddove delegata al pagamento sia la Corte di Appello che ha emesso il decreto;
  • al Ministero della Giustizia relativamente ai decreti depositato a far data dal 1.09.2015 dalle nove Corti di Appello suddette rientranti nell’ambito dell’Accordo con Banca Italia e, perciò, in carico all’Amministrazione Centrale.


Con decreto del Capo Dipartimento per gli affari di giustizia del 28 ottobre 2016 sono stati approvati, ai sensi dell’art.5 sexies, comma 3, legge n.89/2001, i seguenti modelli di dichiarazione denominati:

  1. mod. Pinto persona fisica
  2. mod. Pinto persona giuridica
  3. mod. Pinto antistatario
  4. mod. DSAN-eredi da utilizzare per il pagamento

Per facilitare la lavorazione da parte dell’Ufficio, è preferibile che i modelli vengano compilati con l’ausilio di programmi di videoscrittura (es. Microsoft Word ecc.) e non manualmente.

Liquidazione del Ministero dell’economia e delle Finanze (MEF)

Preliminarmente preme evidenziare che il Ministero dell’economia e delle finanze procede alla liquidazione degli indennizzi in caso di pronunce emesse nei suoi confronti e nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 55 del D.L. 83/2012, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1225, della L. 27 dicembre 2006, n. 296) mentre come sì innanzi detto, il Ministero della Giustizia è competente per la liquidazione per violazione del termine di ragionevole durata di procedimenti del giudice ordinario.

Pertanto, a seguito della condanna del MEF, convenuto in giudizio è competente ai sensi della L. 89/2001 (c.d. legge Pinto) per l’emissione di ordini di pagamento conseguenti a decreti di condanna di Corti d’appello e sentenze di Corte di Cassazione per violazione del termine ragionevole di durata dei processi instaurati presso i TAR, il Consiglio di Stato, il Consiglio per la giustizia amministrativa per la Regione Siciliana e le Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti l’Ufficio X della Direzione dei servizi erogati alle amministrazione e ai terzi presso il MEF.

Viceversa, per i procedimenti instaurati innanzi alle Commissioni tributarie è competente l’Ufficio IX della Direzione dei servizi erogati alle amministrazione e ai terzi.

Quindi, una volta ottenuto il decreto di condanna del Mef si procederà alla relativa notifica ed in caso di mancata opposizione, certificata dalla competente cancelleria potrà procedersi alla redazione della dichiarazione di liquidazione.

Gli uffici del Mef dovranno procedere all’emissione dell’ordine di pagamento entro 6 (sei) mesi dalla data di ricezione della documentazione di cui all’articolo 5 sexies della legge n. 89/2001.

Detto termine non inizia a decorrere in caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della stessa.

Pertanto, a seguito dell’inoltro è opportuno contattare gli uffici per verificare la stessa sia stata correttamente protocollata.

Moduli di liquidazione MEF

Con il decreto n.120738 del 28 ottobre 2016 del Capo del Dipartimento dell’amministrazione generale del personale e dei servizi sono stati approvati i modelli di dichiarazione ai sensi dell’articolo 5 sexies della Legge 24 marzo 2001, n. 89 (legge Pinto), introdotto dall’articolo 1, comma 777, della legge 28 dicembre 2015, n.208 (Legge di stabilità 2016).

Per entrambi i procedimenti la documentazione dovrà essere inviata all’indirizzo di posta elettronica certificata istituzionale della Direzione (dcst.dag@pec.mef.gov.it) utilizzando esclusivamente i seguenti modelli di dichiarazione, secondo la ripartizione delle competenze sopra indicata.
In alternativa, i singoli ricorrenti potranno inviare la documentazione anche all’indirizzo di posta ordinaria:
Direzione dei servizi erogati alle amministrazioni e ai terzi – Via XX Settembre, 97, 00187 Roma

Per i soli procedimenti per cui è competente l’ufficio X, notificati dopo il 30 aprile 2018, la documentazione dovrà pervenire alla casella di posta elettronica certificata istituzionale stralcioleggepinto@pec.mef.gov.it.

Ai fini dell’emissione degli ordini di pagamento gli Uffici acquisiscono:

  • copia fotostatica di un documento di identità in corso di validità del dichiarante;
  • copia del tesserino del codice fiscale o tesserino sanitario del dichiarante;
  • ogni ulteriore documento espressamente previsto dalla seguente modulistica a seconda dell’Ufficio competente e sensi dell’ art. 5 sexies della legge 24 marzo 2001, n. 89, come modificata dall’art. 1, co. 777 della Legge 28 dicembre 2015, n. 208:

Decreto Pinto: termini per il Ricorso in cassazione

E’ necessario porre un distinguo, nel caso in cui il ricorso per cassazione debba essere proposto avverso il decreto della fase sommaria oppure avverso il decreto emesso a seguito di opposizione art 5 ter 89/01. Nel secondo caso il termine decorre dal deposito in cancelleria del decreto (quello c.d. lungo semestrale) oppure 60 giorni in caso di notificazione ai fini della decorrenza del termine breve di 60 giorni. Comunque si tratta di provvedimento suscettibile di passaggio in giudicato per cui si applica la norma generale.

Applicazione della Legge Pinto al Processo Amministrativo

È possibile garantire il diritto ad un equo indennizzo per tutti coloro che hanno dovuto affrontare un processo di durata irragionevole?
La legge Pinto (legge n. 89 del 24 marzo 2001) riconosce a coloro che hanno dovuto affrontare un processo amministrativo di eccessiva lunghezza la possibilità di richiedere un’equa riparazione per il danno di natura patrimoniale e non.


In buona sostanza, si tratta di uno strumento processuale approntato dal Legislatore volto a combattere il fenomeno dell’eccessiva lunghezza temporale dei processi in Italia.


Premettiamo, fin da subito, che per durata ragionevole di un processo di primo grado di giudizio si reputano ragionevoli 3 anni, due anni per il processo di secondo grado e 12 mesi per il grado di legittimità.
Per le procedure concorsuali si considerano di durata ragionevole i termini di 6 anni, mentre per i procedimenti di esecuzione forzata si considerano tre anni.

Legge Pinto al processo amministrativo: chiarimenti utili

La “Legge Pinto” (legge 89/2001 e successive modifiche), ha affermato nel quadro normativo nazionale un principio già riconosciuto in ambito comunitario dall’art. 6 CEDU: il riconoscimento di un’equa riparazione alle parti processuali a seguito della lesione del loro diritto alla definizione del processo amministrativo in un termine ragionevole.

Termini impugnazione Processo Amministrativo

Nel salvaguardare il principio del doppio grado di giurisdizione, la l. n. 1034/1971 ha statuito, come mezzo ordinario di impugnazione delle sentenze emesse dai Tribunali amministrativi regionali (TAR), l’appello al Consiglio di Stato (o, relativamente alla Sicilia, al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana), quale strumento per il riesame integrale della controversia oggetto di decisione in primo grado.

L’appello è un rimedio, in alcun modo obbligatorio, che per lo più la parte soccombente può esperire per impugnare il giudicato, tanto al fine di far valere le proprie ragioni in ordine a possibili errori, vizi, ingiustizie della sentenza di primo grado.

Il Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010), sancisce il termine per proporre l’appello in 60 giorni, a decorrere dalla notificazione della sentenza del TAR; in difetto di notificazione della sentenza, il termine per proporre appello è di 6 mesi (art. 92 c.p.a.).

Questo ad eccezione delle materie di cui all’art. 119 del Codice (perlopiù coincidenti con le materie di cui all’art. 23 bis della l. n. 1034/1971, come modificato dalla l. n. 205/2000) il termine per proporre l’appello è di 30 giorni dalla notificazione della sentenza.