La Legge Pinto come noto veniva approvata nel 2001, (anche) per scongiurare la mole sempre più imponente di ricorsi alla Corte dei diritti dell’uomo per l’eccessiva durata dei processi.
Il primo risultato non voluto è che con il crescere dei ricorsi e dell’accumularsi degli oneri dovuti dallo Stato aumentava l’allarmismo dei presidenti delle Corti d’appello d’italia, tanto che già nel 2010, per esempio, l’allora presidente della Cassazione Vincenzo Carbone già considerava improcrastinabile una revisione delle norme di pochi anni prima. Questi segnalava che i ricorsi pententi in poco tempo avevano toccato il numero di 37.393, dato in costante crescita tanto da mettere in seria difficoltà la struttura.
Da questa analisi nascevano le prime “riforme” tutte tese a circoscrivere e limitare l’impatto della norma e gli effetti anche contravvenendo agli orientamenti consolidati previsti dalla Cedu
Tali “riforma” il cui culmine si è avuto con la LEGGE DI BILANCIO 26 novembre 2017 hanno avuto l’effetto da un lato di comprimere le richieste e le relative liquidazioni dall’altro di “stimolare” gli uffici giudiziari a ridimensionare l’arretrato. Apice di questa tendenza con la c.d. “ricetta Barbuto” che ha sollecitato gli uffici giudiziari civili a concentrare gli sforzi di smaltimento delle cause a rischio Pinto. In questi anni l’arretrato ultratriennale dei tribunali civili è sceso di oltre il 38%, passando da quasi 650mila casi pendenti a 403mila. Gli affari ultrabiennali in appello sono passati da 198mila a 126mila, una riduzione del 37 per cento.
I dati resi nel corso del 2018 vedono per la prima volta dal 2015 il debito dello Stato nei confronti dei cittadini per indennizzi Pinto scendere.
Tale risultato è stato possibile sia per il minor numero di richieste presentate sia per la ridistribuzione delle competenze. Inoltre, per l’arretrato è stata creata una task force presso la Banca d’Italia, in ultimo sono state ridotte le cause a rischio indennizzo.
Grazie a questo lavoro il debito si è ridotto da 456 milioni a 336 milioni, un taglio del 27 per cento. Inoltre, come logica conseguenza, di tale piano si è avuta una riduzione dell’80% dei ricorsi in ottemperanza davanti al giudice amministrativo, oltre che azioni esecutive.
Di questi risultati non c’è ad ogni modo da rallegrarsi perché la giustizia italiana rimane una delle più lente in Europa e se il numero di cause è diminuito è anche grazie all’aumento dei costi di accesso alla giustizia sempre più gravoso.
Quanto alla Legge Pinto anche la riduzione del numero di ricorsi proposti è da ritrovarsi nell’inserimento di una serie di sbarramenti introdotti a seguito dell’ultima riforma, già dichiara in alcune sue norme incostituzionale. Uno su tutte il limite di richiesta di indennizzo in corso di giudizio.
In ultimo ci si attende una riforma sistemica della giustizia e degli organismi tanto da ridurre i tempi senza rinunciare ad una giustizia efficace ed attenta ai cittadini.
Fonte dati: Sole24Ore