Il nostro sistema giudiziario, per decenni, ha subito una sorta di atrofia normativa in merito ad un argomento di notevole interesse: la ragionevole durata del processo e il ristoro attraverso un equo indennizzo. È proprio in attuazione di una consolidata giurisprudenza europea, grazie alle sentenze e ai moniti della Corte Europea di Strasburgo, e alla più volte richiamata Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, comunemente denominata CEDU, la quale riconosce a livello europeo i diritti più importanti per l’Uomo, la cui tutela è un presupposto imprescindibile per una società giusta ed equa, che finalmente è stato fatto un passo importante per la nostra legislazione.
Si ricorda, infatti, che tra i diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati europei firmatari della CEDU, l’art. 6 prevede l’importantissimo diritto ad ottenere un processo equo e che abbia una durata ragionevole, con la altrettanto importante conseguenza di poter ottenere, in caso di sua violazione, il risarcimento del danno. Ben siamo consapevoli di quanto il nostro Paese sia rimasto, per anni, lacunoso al riguardo: nonostante il riconoscimento, negli anni ’50, della validità della CEDU, che pur sempre una Convenzione internazionale è, il nostro sistema giudiziario era sprovvisto di un rimedio interno, che potesse essere attivato in maniera rapida ed efficiente dai singoli cittadini, al fine di ottenere giustizia in caso di lesione al diritto ad un processo equo e ragionevole.
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