Nell’ambito del danno indennizzabile ai sensi della cd. legge Pinto (89/2001) rientra sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale (articolo 2, comma 1, prima parte). In tal senso, del resto, è la stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale non esclude affatto tale voce dall’ambito del pregiudizio astrattamente indennizzabile, limitandosi solo a chiedere la prova della sua sussistenza.
La legge Pinto impone al giudice, che ritenga sussistente un danno patrimoniale, in conseguenza della accertata irragionevole durata del procedimento (civile o penale) presupposto, di provvedere a valutare i danni, ai sensi dell’articolo 2056 Cc, e cioè liquidando il lucro cessante in via equitativa (articolo 2056, secondo comma) e il danno emergente ai sensi degli articoli 1223 o 1226 Cc, e cioè provandolo (an), anche nel suo specifico ammontare (quantum) ovvero ‑ sotto questo ultimo aspetto ‑ chiedendo al giudice una liquidazione in via equitativa.
La precisa indicazione di un ammontare del danno che, per quanto problematica, non è ipotesi che può essere esclusa in astratto, va ‑ naturalmente ‑ ipotizzata solo in quanto «conseguenza immediata e diretta» dell’eccesso di durata del procedimento, non quale danno complessivamente subito in ragione dei provvedimenti adottati nel corso del procedimento (nella specie: la privazione della libertà personale) o dallo stesso instaurarsi del procedimento (che poi ‑come nella specie ~ si sia concluso con l’assoluzione dell’imputato).
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