Legge Pinto- Il decreto ed il suo contenuto: accoglimento e rigetto

Cosa è possibile fare, oggi, al fine di tutelare la posizione di coloro che subiscono i danni derivanti dalle lungaggini della giustizia?

Il nostro ordinamento, fino a circa venti anni fa, era sprovvisto di un rimedio giudiziario tutto interno, per tutelare tutti coloro che lamentavano i danni subiti in seguito a quei processi che duravano decenni, che non davano alcuna certezza in merito al loro esito, con notevoli conseguenze non solo patrimoniali, ma anche morali. Basti pensare alle spese di giustizia che occorre affrontare per sopportare diversi gradi di giudizio, così come è indispensabile cimentarsi nello stato di turbamento e di angoscia dei soggetti coinvolti in un processo, in attesa di avere un responso e che vedono trascorrere il tempo inesorabilmente. È una situazione che genera, quindi, un nocumento sia economico che non, e che merita di essere risarcito affinché si ristabilisca un principio fondamentale, quello di una giustizia sana, equilibrata, equa e ben amministrata.

Già la nota Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, conosciuta meglio come CEDU, elaborata negli anni ’50, contiene un richiamo ben preciso al diritto ad una equa riparazione per mancato rispetto di un ragionevole termine processuale: l’art. 6 costituisce, infatti, il fondamento di una prassi giuridica che ha preso piede negli Stati firmatari e che ha consentito alle persone fisiche di rivolgersi alla Corte Europea di Strasburgo, posta a presidio della CEDU, al fine di ottenere una sentenza favorevole al riconoscimento del relativo danno.

La Corte si è ritrovata, in tal modo, sommersa dalle richieste risarcitorie, arrivando ad essere oberata e a non riuscire a gestire il relativo contenzioso, allarmando così le autorità nazionali e invocando uno strumento che si ponesse a livello interno, per porre un freno e un filtro alle varie domande proposte.

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