Premessa: La questione in esame riguarda l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 5 comma 2 della legge n. 89 del 2001, comunemente nota come “Legge Pinto”.
Primo Motivo di Ricorso: È stata sollevata una contestazione relativa alla violazione e alla presunta errata applicazione dell’articolo 5 comma 2 della legge n. 89 del 2001. In particolare, si contesta la non perentorietà del termine stabilito per la notifica del ricorso e del relativo decreto.
Secondo Motivo di Ricorso: È stata avanzata l’eccezione riguardo alla possibile incostituzionalità della norma, nel caso in cui il termine venga interpretato come perentorio. Tale eccezione si basa sulla presunta violazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione Italiana, nonché in relazione all’articolo 112 del Codice di Procedura Civile, in merito alla non riproponibilità della domanda.
Decisione della Corte di Cassazione: Con la sentenza n. 2656 del 1 febbraio, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Tuttavia, considerando la natura innovativa della questione di diritto concernente gli effetti della tardiva notifica del decreto, questione solo di recente affrontata dalla stessa Corte, ha deciso di compensare le spese legali sostenute nel corso del giudizio.
Considerazioni Finali: In base alla decisione dei Giudici di Legittimità, si sottolinea che il termine di trenta giorni previsto dal secondo comma dell’articolo 5 della legge n. 89 del 2001 è da considerarsi perentorio. Questa interpretazione trova fondamento nella novella legislativa del 2012, come ulteriormente chiarito dalla Corte con la sentenza n. 5656 del 2015. Tale novella ha introdotto nel sistema giuridico italiano un meccanismo analogo a quello del procedimento ingiuntivo, sebbene allo stesso non identico e quindi applicabile solo nei casi in cui la disciplina dello stesso sia estensibile.
Come notorio, altresì, il termine di notifica del decreto ingiuntivo è perentorio. Per cui alla sua scadenza il decreto ingiuntivo non è più utilizzabile e perde efficacia. Parimenti, abbiamo evidenziato il Decreto ex L. Pinto, sebbene con termini diversi. Orbene, diversamente dalla L. Pinto, il creditore, sempre che il suo diritto non si sia nel frattempo prescritto, può però sempre chiedere un nuovo decreto ingiuntivo. Viceversa nella L. Pinto se superati i 6 mesi o non notificato entro i 30 si perde tale diritto.
Secondo la Cassazione, Cass. sent. n. 22959/07, n. 5447/99, il termine di notifica del decreto ingiuntivo è soggetto alla sospensione feriale nel periodo che va dal 1° al 31 agosto. Questo significa, ad esempio, che se il decreto è stato depositato in cancelleria il 26 luglio, il termine di notifica del decreto ingiuntivo non scade il 25 settembre bensì il 25 ottobre (poiché tutto il mese di agosto non si calcola).
Quindi per alcuna giurisprudenza, parimenti estensibile anche la proroga dei termini feriali e festivi ex 155 cpc per la notifica del Decreto ex Legge Pinto, così come in aderenza con quanto previsto per il procedimento ingiuntivo.
Sul tema si riporta una massima estratta da Ordinanza n. 25739 del 30.10.2017 – Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, commentata in calce al seguente articolo.
“in quanto fra i termini sospesi nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato quando l’azione in giudizio rappresenta l’unico rimedio per far valere il diritto – la sospensione si applica anche al termine previsto dall’articolo 4 della legge 89 per la proposizione della domanda (in tal senso, da ultimo, Cass. 4147/2017).”
Alcuni provvedimenti.
Cassazione civile sez. II, 01/10/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 01/10/2019), n.24464
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14998-2017 proposto da:
L.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI
278, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA CANNIZZARO,
rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SANASI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositato il
30/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/02/2019 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.
Fatto
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Rilevato:
che il signor L.D. ha proposto ricorso, sulla scorta di un unico motivo, per la cassazione del decreto con cui la corte d’appello di Lecce, accogliendo l’opposizione avanzata dal Ministero della giustizia ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter ha dichiarato inefficace – e, per l’effetto, revocato – il decreto emesso in suo favore ai sensi dell’art. 3 della stessa legge, dichiarando altresì improponibile la sua domanda di equa riparazione;
che la corte leccese ha motivato la propria decisione con riferimento al disposto della L. n. 89 del 2001, art. 5, comma 2, rilevando come, nella specie, il decreto monitorio fosse stato notificato oltre la scadenza del termine di trenta giorni previsto da detta disposizione;
che il Ministero della Giustizia non ha svolto difese in questa sede;
che la causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 14 febbraio 2019, per la quale non sono state presentate memorie;
considerato:
che l’unico motivo di ricorso è riferito al vizio di violazione o falsa applicazione di legge, con riferimento alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter e artt. 644 e 645 c.p.c.; all’art. 24 Cost. e art. 111 Cost., commi 1, 2, 6 e 7, artt. 6, 13 e 41 CEDU, 1 Protocollo CEDU e L. n. 89 del 2001, art. 2; all’art. 111 Cost., commi 6 e 7, artt. 112 e 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè vizio di motivazione in relazione alla omessa decisione della causa nel merito;
che in sostanza il ricorrente sostiene, richiamando taluni precedenti di questa Corte, che, qualora il decreto emesso all’esito della fase monitoria del giudizio di equa riparazione sia stato notificato all’Amministrazione resistente, ancorchè con una notifica tardiva o invalida, il vizio o l’intempestività della notifica potrebbe esser fatto valere dall’Amministrazione solo con l’opposizione L. n. 89 del 2002, ex art. 5 ter la quale investirebbe la corte di appello non soltanto dell’accertamento della sopravvenuta inefficacia del decreto, ma anche del merito della domanda di equa riparazione;
che in proposito il Collegio ritiene, in primo luogo, di confermare il consolidato principio che, in tutti i casi in cui il decreto monitorio di cui alla L. n. 89 del 2002, art. 3, comma 4 sia stato notificato all’Amministrazione resistente, quest’ultima può far valere l’eventuale nullità della notifica o l’eventuale tardività della stessa (rispetto al termine perentorio di cui all’art. 5, comma 1, stessa legge) soltanto mediante la tempestiva opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter;
che, peraltro, nei suddetti casi l’oggetto del giudizio di opposizione è diverso a seconda che la notifica del decreto monitorio sia stata tempestiva, ancorchè nulla, o sia stata tardiva, ancorchè, eventualmente, valida;
che nel primo caso, infatti, la nullità della notifica – se vale ad impedire il decorso del termine di opposizione (giacchè il vizio della notifica impedisce di presumere che il decreto sia giunto a conoscenza dell’Amministrazione destinataria alla data della notifica stessa, legittimando quindi l’opposizione tardiva) – tuttavia non rende inefficace il decreto, perchè il fatto che il ricorrente abbia tempestivamente effettuato la notifica, ancorchè questa risulti affetta da vizi che ne determinino la nullità, vale ad escluderne l’inerzia;
che nel caso di notifica tempestiva nulla, quindi, l’oggetto del giudizio di opposizione si risolve nella stessa domanda di equa riparazione originariamente introdotta dal ricorrente, che l’Amministrazione ha l’onere di contestare nel merito;
che, per contro, nel caso della notifica tardiva (ancorchè valida), ricorre la situazione di inerzia del ricorrente cui la L. n. 89 del 2001, art. 5, comma 2, – sulla base di una presunzione assoluta di perdita di interesse alla procedura, analoga a quella sottesa al disposto dell’art. 644 c.p.c. – ricollega la perdita di efficacia del decreto monitorio;
che in tal caso l’oggetto del giudizio di opposizione si esaurisce nell’accertamento della inefficacia del decreto, per tardività della relativa notifica, e non investe il merito della domanda di equa riparazione originariamente proposta (che, quindi, l’Amministrazione non ha interesse a contestare) giacchè la L. n. 89 del 2001 (art. 5, comma 2, u.p.) prevede espressamente che la perdita di efficacia del decreto implica la non riproponibilità della domanda, in tal modo differenziando la disciplina del decreto L. n. 89 del 2002, ex art. 3 dalla disciplina del decreto ingiuntivo previsto dal codice di rito, nella quale, mancando un divieto di riproponibilità della domanda, l’eventuale inefficacia del decreto impone, comunque, per ragioni di economia processuale, l’esame nel merito della pretesa;
che, quindi, in definitiva, deve qui confermarsi l’orientamento della sentenza di questa Corte n. 2656/17 (già seguita da Cass. n. 10879/18), che ha affermato che la tardiva notifica del decreto L. n. 89 del 2001, ex art. 3 comporta, ai sensi dell’art. 5, comma 2, stessa legge, l’inefficacia del medesimo e l’improponibilità della domanda indennitaria, altresì giudicando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale disciplina, con argomentazioni che questo Collegio condivide e che valgono a dissipare anche i subbi di legittimità costituzionale sollevati dalla difesa del sig. L.;
che, in conclusione, il ricorso va rigettato;
che non vi è luogo a regolazione delle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva;
che non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 risultando dagli atti che il processo è esente dal pagamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2019
Commento alla Ordinanza N. 25739 del 30.10.2017 – Corte di Cassazione Sez. Seconda civile
Oggetto: Applicazione della sospensione feriale al termine di introduzione della domanda ai sensi della Legge Pinto.
Sentenza: La Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, con l’Ordinanza n. 25739 del 30.10.2017, ha affrontato la questione relativa all’applicabilità della sospensione feriale ai termini previsti dalla Legge Pinto.
Parti Coinvolte: Il ricorso è stato proposto dal Ministero della Giustizia contro A. G. + altri.
Fatti Principali: La Corte d’Appello di Roma aveva rigettato l’opposizione del Ministero della Giustizia contro un decreto che lo condannava a pagare una somma come equa riparazione per la durata irragionevole di un processo. Il Ministero ha presentato ricorso contro tale decisione.
Questioni Sollevate:
Applicabilità della sospensione feriale al termine di decadenza previsto dall’articolo 4 della Legge 89/2001.
Carattere “monitorio” del procedimento ai sensi dell’articolo 3 della Legge 89 e sua compatibilità con la sospensione feriale.
Decisione della Corte di Cassazione: La Corte ha stabilito che la sospensione feriale si applica anche al termine previsto dall’articolo 4 della Legge 89. Questo perché non solo i termini successivi all’introduzione del processo sono sospesi durante il periodo feriale, ma anche il termine entro il quale il processo deve essere avviato, specialmente quando l’azione in giudizio è l’unico mezzo per far valere un diritto. Pertanto, il ricorso del Ministero è stato rigettato.
Conseguenze: Il Ministero della Giustizia è stato condannato a pagare le spese legali in favore dei controricorrenti.
Commento: La decisione della Corte di Cassazione ribadisce l’importanza di garantire i diritti dei cittadini, anche in presenza di termini procedurali. La sospensione feriale, tradizionalmente applicata ai termini processuali, viene estesa anche ai termini sostanziali quando l’azione in giudizio rappresenta l’unico rimedio per far valere un diritto.
Corte di Cassazione Sez. Seconda civile Ordinanza N. 25739 del 30.10.2017
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25739 Anno 2017
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: BESSO MARCHEIS CHIARA
Data pubblicazione: 30/10/2017
ORDINANZA
sul ricorso 20046-2016 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (8018440587), in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- ricorrente –
contro
A. G. + altri, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo studio dell’avvocato BRUNO TAVERNITI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE MARROCCO; - controricorrentí –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 15/06/2016, Cron.n. 4854/2016, R.G.V.G. n. 53011/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/07/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Roma, con decreto del 15 giugno 2016, ha rigettato l’opposizione proposta dal Ministero della Giustizia contro il decreto con il quale era stato condannato a pagare in favore di ciascuno degli odierni controricorrenti la somma di euro 2.000 a titolo di equa riparazione per la durata irragionevole di un processo da essi iniziato davanti al Tribunale di Napoli.
Contro tale decreto il Ministero propone ricorso, articolato in due motivi.
Resistono con controricorso G. A., M. G. C., F. C., R. C., E. C., A. C.
Il ricorrente ha depositato memoria. La memoria, per la parte in cui pone in essere una integrazione del ricorso con due nuovi motivi
“esplicativi dei motivi a suo tempo proposti”, è inammissibile.
I controricorrenti hanno anch’essi depositato memoria, ma una volta decorso il termine prescritto dall’art. 380-bis 1 c.p.c.
Motivazione
Col primo motivo di ricorso il Ministero della Giustizia lamenta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 4 della legge 89/2001, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto applicabile al termine di decadenza, di natura sostanziale ad
avviso del ricorrente, ex articolo 4 della citata legge la sospensione dei termini nel periodo feriale. Richiamata la pronuncia delle sezioni
unite di questa Corte n.16783/2012 che ha escluso il decorso del impedito dal termine di decadenza di cui all’articolo 4, il ricorrente
afferma che da tale premessa discende, sul piano logico-sistematico, l’inapplicabilità di un istituto come la sospensione dei termini nel
periodo feriale, che è proprio dei termini processuali.
Il secondo motivo denuncia, anch’esso, la violazione o falsa applicazione del medesimo articolo 4, ma in relazione all’articolo 360, n. 4 c.p.c.: si sostiene che il carattere “monitorio” del procedimento, che non introduce un giudizio contenzioso ma solo una fase sommaria, previsto dal nuovo articolo 3 della legge 89, non si concilierebbe, per le sue caratteristiche di speditezza e urgenza, con la sospensione feriale dei termini processuali.
Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono manifestamente infondati. Essi si contrappongono, senza alcun valido argomento, all’indirizzo ormai consolidato di questa Corte in base al quale – in quanto fra i termini sospesi nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato quando l’azione in giudizio rappresenta l’unico rimedio per far valere il diritto – la sospensione si applica anche al termine previsto dall’articolo 4 della legge 89 per la proposizione della domanda (in tal senso, da ultimo, Cass. 4147/2017).
Il ricorso va pertanto rigettato.
La liquidazione delle spese, effettuata nel dispositivo, segue la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente Ministero della giustizia al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in euro 800 per compensi, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, in data 7 luglio 2017.
Pubblicata il 30.10.2017