Equa riparazione: si applica sospensione feriale al termine semestrale di decadenza del ricorso ex Legge Pinto


Al termine semestrale di decadenza previsto dall’articolo 4 della legge n. 89/2001 per la proposizione della domanda di equa riparazione può essere applicata la sospensione feriale dei termini.

Con l’ordinanza del 24 settembre 2019, n. 23808, la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la decisione assunta, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Perugia.

La vicenda
La Corte d’appello di Perugia, con decreto n. 25X/2018, ha dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione proposta da Tizio e Caio, ai sensi della legge n. 89 del 2001, per l’irragionevole durata di un processo civile definito con ordinanza della Corte di cassazione pubblicata il 3 luglio 2009.

La Corte d’appello ha censurato la domanda di equa riparazione, in quanto presentata l’11 febbraio 2010, quindi dopo lo spirare del termine semestrale di cui all’articolo quattro della legge 89/2001, ovvero non considerando i termini della c.d. sospensione feriale.

Tizio e Caio hanno proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto provvedimento.

Con l’unico motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’articolo 4 della legge 89/2001 ed in particolare hanno evidenziato come – ai fini della verifica del rispetto del termine previsto da tale disposizione – la Corte non abbia applicato la sospensione feriale dei termini di cui alla legge n. 742/1969.

La decisione
La Corte di Cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 23808/2019, ha ritenuto il motivo fondato e ha accolto il ricorso.

Sul punto la Suprema Corte ha precisato che secondo il proprio costante orientamento, riconfermato ancora di recente con la sentenza Corte di Cassazione, n. 14493/2018 “il termine semestrale di decadenza previsto dall’articolo 4 della legge n. 89/2001 per la proposizione della domanda di equa riparazione soggiace alla sospensione feriale dei termini”.

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Ecco il link a: Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, ordinanza del 24 settembre 2019, n. 23808

Emergenza Covid – termini e Legge Pinto

Le necessità imposte dalla pandamia hanno, come noto, dettato la necessità della redazione del cosiddetto “Cura Italia”, il quale tra le altre cose ha disposto la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza, – comma 8 di detto articolo.

Per molti commentatori è logico, in via interpretativa, che, quanto meno sino al 15/04, essendo sospeso ogni termine, per il compimento di qualsivoglia atto processuale, anche introduttivo, deve necessariamente ritenersi sospeso anche il termine prescrizionale/decadenziale che con quell’atto si sarebbe dovuto interrompere/impedire.

Peraltro, tale nuova sospensione non può che essere letta in via analogica con la disciplina della sospensione feriale, per cui da tempo si è aperta la strada al superamento della distinzione netta tra termini sostanziali e termini processuali (riconoscendosi la natura sostanziale e al contempo processuale di alcuni termini: Corte Cost. 13/02/85 n.40, Corte Cost. 13/07/1987 n. 255) che ha portato, tra le altre, anche alla pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 1 della L.742/69 per la mancata sospensione del termine decadenziale (ritenuto “non processuale”) di impugnativa del verbale di assemblea condominiale (Corte Cost. 02/02/1990 n.49). Sul punto, la giurisprudenza ha recepito l’applicazione di tali pronunce, così rendendo inequivocabilmente condiviso il principio per cui nella “sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorché l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso” (Cass.28/02/18 n.4675 circa il termine semestrale per agire in forza della Legge Pinto; Cass.5423/16; Cass.10595/16 ecc.).

Talchè seguendo in via analogica tale principio appare lecito ritenere estensibile tale principio anche al termine decadenziale semestrale della normativa ex L. Pinto.

Ulteriormente, preme evidenziare in questa sede che ai sensi dell’art. 83, comma 10 del D.L. n°18/2020, per tutti i procedimenti in cui vi sia stato un rinvio d’udienza, causato dalla nota Pandemia, non si potrà tener conto, ai fini del maturarsi dell’equa riparazione di cui all’art. 2, della l. 89/01 (legge Pinto) del periodo compreso tra il 08/03/2020 ed il 30/06/2020.

Legge Pinto: Liquidazione – pagamento indennizzi e spese legali

Preliminarmente è necessario fare un distinguo tra i diversi soggetti resistenti, poiché per ognuno di essi è prevista una diversa modalità di liquidazione.

  • Ministero della Giustizia
  • Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF)

Liquidazione del Ministero della giustizia

A seguito della condanna del Ministero della giustizia, convenuto in giudizio ex L. Pinto provvede il medesimo Ministero così come previsto con il capitolo 1264 (“Somma occorrente per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi proposti dagli aventi diritto ai fini dell’equa riparazione dei danni subiti in caso di violazione del termine ragionevole del processo”), gestito dal Dipartimento per gli affari di giustizia.

In considerazione dell’elevato numero di condanne riportate dal Ministero della giustizia nei contenziosi ex lege n. 89/2001, il Dipartimento per gli affari di giustizia, sin dall’aprile 2005, ha delegato la liquidazione delle somme alle singole Corti di appello, “in un’ottica di decentramento e decongestione”, con relativo accreditamento di fondi prelevati dal capitolo 1264.

Pertanto l’effettiva liquidazione spessa all’Ufficio Ragioneria della Corte di Appello che ha emesso il decreto di condanna, anche con riferimento alle sentenze emesse dalla Corte di Cassazione ed all’esecuzione delle sentenze emesse dai giudici amministrativi per l’ottemperanza di provvedimenti decisori di cui alla legge n. 89/2001 e depositate dal primo ottobre 2013.

Cosa fare ottenuto il decreto di liquidazione ?

Procedere con la notifica del decreto (immediatamente esecutivo ex lege) unitamente al ricorso ed alla procura nei termini a parte resistente; atteso lo spirare dei termini di opposizione, richiedere il corrispondente certificato di mancata opposizione, quindi istruire la dichiarazione di liquidazione. Infatti, con l’introduzione della legge di stabilità 2016, il creditore ha l’onere di rilasciare all’amministrazione debitrice, ex art. 5 sexies Legge 89/01, una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 d.p.r. n.445/2000, attestante:

  • la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo
  • l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito
  • l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere
  • la modalità di riscossione prescelta

Tale dichiarazione, con la relativa documentazione, dovrà essere inviata

  • all’ufficio ragioneria della Corte di Appello competente, laddove delegata al pagamento sia la Corte di Appello che ha emesso il decreto;
  • al Ministero della Giustizia relativamente ai decreti depositato a far data dal 1.09.2015 dalle nove Corti di Appello suddette rientranti nell’ambito dell’Accordo con Banca Italia e, perciò, in carico all’Amministrazione Centrale.


Con decreto del Capo Dipartimento per gli affari di giustizia del 28 ottobre 2016 sono stati approvati, ai sensi dell’art.5 sexies, comma 3, legge n.89/2001, i seguenti modelli di dichiarazione denominati:

  1. mod. Pinto persona fisica
  2. mod. Pinto persona giuridica
  3. mod. Pinto antistatario
  4. mod. DSAN-eredi da utilizzare per il pagamento

Per facilitare la lavorazione da parte dell’Ufficio, è preferibile che i modelli vengano compilati con l’ausilio di programmi di videoscrittura (es. Microsoft Word ecc.) e non manualmente.

Liquidazione del Ministero dell’economia e delle Finanze (MEF)

Preliminarmente preme evidenziare che il Ministero dell’economia e delle finanze procede alla liquidazione degli indennizzi in caso di pronunce emesse nei suoi confronti e nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 55 del D.L. 83/2012, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1225, della L. 27 dicembre 2006, n. 296) mentre come sì innanzi detto, il Ministero della Giustizia è competente per la liquidazione per violazione del termine di ragionevole durata di procedimenti del giudice ordinario.

Pertanto, a seguito della condanna del MEF, convenuto in giudizio è competente ai sensi della L. 89/2001 (c.d. legge Pinto) per l’emissione di ordini di pagamento conseguenti a decreti di condanna di Corti d’appello e sentenze di Corte di Cassazione per violazione del termine ragionevole di durata dei processi instaurati presso i TAR, il Consiglio di Stato, il Consiglio per la giustizia amministrativa per la Regione Siciliana e le Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti l’Ufficio X della Direzione dei servizi erogati alle amministrazione e ai terzi presso il MEF.

Viceversa, per i procedimenti instaurati innanzi alle Commissioni tributarie è competente l’Ufficio IX della Direzione dei servizi erogati alle amministrazione e ai terzi.

Quindi, una volta ottenuto il decreto di condanna del Mef si procederà alla relativa notifica ed in caso di mancata opposizione, certificata dalla competente cancelleria potrà procedersi alla redazione della dichiarazione di liquidazione.

Gli uffici del Mef dovranno procedere all’emissione dell’ordine di pagamento entro 6 (sei) mesi dalla data di ricezione della documentazione di cui all’articolo 5 sexies della legge n. 89/2001.

Detto termine non inizia a decorrere in caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della stessa.

Pertanto, a seguito dell’inoltro è opportuno contattare gli uffici per verificare la stessa sia stata correttamente protocollata.

Moduli di liquidazione MEF

Con il decreto n.120738 del 28 ottobre 2016 del Capo del Dipartimento dell’amministrazione generale del personale e dei servizi sono stati approvati i modelli di dichiarazione ai sensi dell’articolo 5 sexies della Legge 24 marzo 2001, n. 89 (legge Pinto), introdotto dall’articolo 1, comma 777, della legge 28 dicembre 2015, n.208 (Legge di stabilità 2016).

Per entrambi i procedimenti la documentazione dovrà essere inviata all’indirizzo di posta elettronica certificata istituzionale della Direzione (dcst.dag@pec.mef.gov.it) utilizzando esclusivamente i seguenti modelli di dichiarazione, secondo la ripartizione delle competenze sopra indicata.
In alternativa, i singoli ricorrenti potranno inviare la documentazione anche all’indirizzo di posta ordinaria:
Direzione dei servizi erogati alle amministrazioni e ai terzi – Via XX Settembre, 97, 00187 Roma

Per i soli procedimenti per cui è competente l’ufficio X, notificati dopo il 30 aprile 2018, la documentazione dovrà pervenire alla casella di posta elettronica certificata istituzionale stralcioleggepinto@pec.mef.gov.it.

Ai fini dell’emissione degli ordini di pagamento gli Uffici acquisiscono:

  • copia fotostatica di un documento di identità in corso di validità del dichiarante;
  • copia del tesserino del codice fiscale o tesserino sanitario del dichiarante;
  • ogni ulteriore documento espressamente previsto dalla seguente modulistica a seconda dell’Ufficio competente e sensi dell’ art. 5 sexies della legge 24 marzo 2001, n. 89, come modificata dall’art. 1, co. 777 della Legge 28 dicembre 2015, n. 208:

Decreto Pinto: termini per il Ricorso in cassazione

E’ necessario porre un distinguo, nel caso in cui il ricorso per cassazione debba essere proposto avverso il decreto della fase sommaria oppure avverso il decreto emesso a seguito di opposizione art 5 ter 89/01. Nel secondo caso il termine decorre dal deposito in cancelleria del decreto (quello c.d. lungo semestrale) oppure 60 giorni in caso di notificazione ai fini della decorrenza del termine breve di 60 giorni. Comunque si tratta di provvedimento suscettibile di passaggio in giudicato per cui si applica la norma generale.

Applicazione della Legge Pinto al Processo Amministrativo

È possibile garantire il diritto ad un equo indennizzo per tutti coloro che hanno dovuto affrontare un processo di durata irragionevole?
La legge Pinto (legge n. 89 del 24 marzo 2001) riconosce a coloro che hanno dovuto affrontare un processo amministrativo di eccessiva lunghezza la possibilità di richiedere un’equa riparazione per il danno di natura patrimoniale e non.


In buona sostanza, si tratta di uno strumento processuale approntato dal Legislatore volto a combattere il fenomeno dell’eccessiva lunghezza temporale dei processi in Italia.


Premettiamo, fin da subito, che per durata ragionevole di un processo di primo grado di giudizio si reputano ragionevoli 3 anni, due anni per il processo di secondo grado e 12 mesi per il grado di legittimità.
Per le procedure concorsuali si considerano di durata ragionevole i termini di 6 anni, mentre per i procedimenti di esecuzione forzata si considerano tre anni.

Legge Pinto al processo amministrativo: chiarimenti utili

La “Legge Pinto” (legge 89/2001 e successive modifiche), ha affermato nel quadro normativo nazionale un principio già riconosciuto in ambito comunitario dall’art. 6 CEDU: il riconoscimento di un’equa riparazione alle parti processuali a seguito della lesione del loro diritto alla definizione del processo amministrativo in un termine ragionevole.

Termini impugnazione Processo Amministrativo

Nel salvaguardare il principio del doppio grado di giurisdizione, la l. n. 1034/1971 ha statuito, come mezzo ordinario di impugnazione delle sentenze emesse dai Tribunali amministrativi regionali (TAR), l’appello al Consiglio di Stato (o, relativamente alla Sicilia, al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana), quale strumento per il riesame integrale della controversia oggetto di decisione in primo grado.

L’appello è un rimedio, in alcun modo obbligatorio, che per lo più la parte soccombente può esperire per impugnare il giudicato, tanto al fine di far valere le proprie ragioni in ordine a possibili errori, vizi, ingiustizie della sentenza di primo grado.

Il Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010), sancisce il termine per proporre l’appello in 60 giorni, a decorrere dalla notificazione della sentenza del TAR; in difetto di notificazione della sentenza, il termine per proporre appello è di 6 mesi (art. 92 c.p.a.).

Questo ad eccezione delle materie di cui all’art. 119 del Codice (perlopiù coincidenti con le materie di cui all’art. 23 bis della l. n. 1034/1971, come modificato dalla l. n. 205/2000) il termine per proporre l’appello è di 30 giorni dalla notificazione della sentenza.

La Legge Pinto ed il processo penale

Il nostro ordinamento, fino a circa venti anni fa, era privo di uno strumento concreto che tutelasse tutti coloro che, parti di un processo giudiziario, subissero irrimediabilmente dei danni in seguito al protrarsi oltre misura della situazione giudiziaria pendente. Siamo abituati, infatti, a sentir parlare di cause decennali, in cui le udienze si susseguono senza soluzione di continuità, i giudici si alternano e gli avvocati difensori spesso risultano stanchi dell’avvicendarsi giudiziario, senza ottenere un celere riscontro al loro lavoro.

È in un contesto come questo che le parti processuali, indipendentemente se siano attori o convenuti, possono facilmente lamentare pregiudizi derivanti dalla eccessiva tempistica processuale: si pensi alle spese di giustizia, che occorre sopportare per l’avvicendarsi dei diversi gradi di giudizio; agli oneri e alle parcelle professionali dei difensori coinvolti; ma altresì all’ansia, al turbamento, allo stato di angoscia di tutti coloro che restano in attesa di un responso e che subiscono il trascorrere del tempo. Una simile situazione, generatrice di un danno patrimoniale e non patrimoniale, richiede una tutela specifica, affinché si possa garantire una giustizia sana ed equa.

Lo strumento ci è stato offerto già con la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, conosciuta meglio come CEDU, il cui art. 6 prevede il diritto ad ottenere una equa riparazione per il mancato rispetto di un ragionevole termine processuale: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.”

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Applicazione della Legge Pinto al processo tributario.

Negli ultimi anni il sistema normativo italiano si è adeguato alla normativa europea, in un contesto di partecipazione attiva ad un processo di creazione di una Europa unita non solo dal punto di vista sociale ed economico, ma anche giuridico. Gli Stati europei, infatti, hanno dato vita, nel corso degli anni, non solo alla Unione Europea, ma anche ad una serie di organismi collaterali, tra cui possiamo richiamare il Consiglio d’Europa, il cui compito fondamentale è quello di diffondere la difesa dei diritti umani, delle democrazie e dello Stato di diritto. Ed è in seno allo stesso che viene proclamata la famosa CEDU – Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, che riconosce e garantisce a livello europeo i diritti fondamentali dell’uomo e la cui applicazione da parte di tutti gli Stati membri viene garantita dalla Corte Europea di Giustizia di Strasburgo.

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Legge Pinto e gratuito patrocinio: requisiti e procedura.

Spesso si sente parlare di strumenti giuridici che tutelano tutti coloro che subiscono danni dal protrarsi, per lungo tempo, dei processi giudiziari, sia in ambito civile, che in quello penale ed amministrativo.

Non può dubitarsi che le lungaggini dei Tribunali italiani, per dirimere i vari contenziosi, possano essere considerati oramai alla stregua di una piaga, per la quale il cittadino incolpevole non riesce a trovare cura.

Non solo lo Stato Italiano, ma anche gli altri Stati facenti parte del Consiglio d’Europa, nel corso degli anni, hanno cercato di porre rimedio ai tempi biblici della giustizia, dapprima con la stesura della conosciuta Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (c.d. CEDU), che rappresenta il baluardo per una giustizia efficiente e concreta (vedi nello specifico l’art. 6), cui l’Italia ha cercato di adeguarsi al fine di dare certezza e celerità al diritto applicato al caso concreto.


I risultati ottenuti sono risultati, però, insoddisfacenti, viste le continue e ripetute denunce che i giudici italiani hanno subito per la violazione dell’art. 6 della CEDU, che sancisce il principio secondo cui “ogni persona ha diritto a che la causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge”.

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Calcolo dei termini per il passaggio in giudicato, Pinto su Sentenza della Corte d’Appello

Il periodo entro cui si può presentare un ricorso per Cassazione è disciplinato dall’articolo 325 del Codice di Procedura Civile. Questo articolo specifica che il termine per presentare appelli, revocazioni e opposizioni di terzo, come indicato nell’articolo 404, comma secondo, è di trenta giorni. Tale durata si applica anche per la revocazione e l’opposizione di terzo contro le sentenze delle corti d’appello.

Per quanto riguarda il ricorso per Cassazione, l’articolo 325 c.p.c. stabilisce un termine di sessanta giorni. Questo periodo è noto come “termine breve” e ha lo scopo di limitare l’incertezza sui rapporti giuridici interessati dalla sentenza, evitando che questi rimangano in sospeso per un tempo eccessivo.

In aggiunta, il Codice di Procedura Civile prevede un “termine lungo” per le impugnazioni di tipo ordinario. Questo “termine lungo” scade sei mesi dopo la pubblicazione della sentenza. Tale disposizione è contenuta nell’articolo 327 c.p.c., che regola la decadenza dall’impugnazione.

Termine breve: 60 giorni

Termine lungo: 6 mesi

art 327 c.p.c.

“Indipendentemente dalla notificazione (1), l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza 124 secondo comma, 129 terzo comma, disp. att..

Questa disposizione non si applica quando la parte contumace [291 c.p.c. ss.] dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione [164] o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all’articolo 292 (3).”

(1) L’articolo discusso trova applicazione sia in situazioni dove non avviene la notificazione della sentenza, sia nei casi in cui la notifica risulta nulla, come ad esempio quando viene effettuata direttamente alla parte anziché al procuratore legalmente designato.

(2) La modifica del termine è stata introdotta con la legge del 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito il precedente termine annuale. Questo termine, definito come “termine lungo” per distinguerlo dal “termine breve” previsto dall’art. 325 del c.p.c., stabilisce il limite temporale oltre il quale non è più possibile avvalersi del rimedio impugnatorio ordinario. È importante notare che questo termine non si applica ai mezzi di impugnazione straordinari né al regolamento di competenza. Come il termine breve, anche il termine lungo è soggetto alla sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, che va dal 1° agosto al 31 agosto di ogni anno.

(3) Il contumace è tenuto a dimostrare non solo la nullità della citazione o della notificazione, ma anche l’ignoranza del processo dovuta a tale nullità. Recentemente, però, la giurisprudenza di legittimità ha preso una posizione diversa, sostenendo che la conoscenza del processo da parte del contumace può essere accertata anche d’ufficio, data l’importanza pubblicistica della decadenza che ne consegue.