Legge Pinto: legittima la richiesta in pendenza di giudizio

La legge Pinto è costituzionalmente illegittima nella parte in cui esclude la proponibilità dell’azione per equa riparazione in pendenza del giudizio.

C. Cost., sentenza 26 aprile 2018, n. 88

La Corte Costituzionale interviene sulla legge Pinto con la sentenza n. 88 del 26 aprile 2018 si è pronunciata in merito alla illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 in materia di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile.

l’art. 4 della L. 89/2001 (cosiddetta legge Pinto), viene censurato nella versione che prevede che “la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva”.

La sentenza richiamata: alcuni ricorrenti si erano rivolti alla Corte d’appello per ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale sul presupposto dell’irragionevole durata del giudizio instaurato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio definito con decreto reso in data 14 gennaio 2013.

Tale domanda era stata dichiarata dall’adita Corte inammissibile,  i ricorrenti pronunciavano  quindi opposizione sebbene l’orientamento fosse confermato dalla medesima Corte d’appello sul presupposto che il decreto di perenzione amministrativa non fosse divenuto definitivo.

Sul punto, il giudice a quo, adito per la cassazione del decreto che aveva deciso sull’opposizione,  pur condividendo l’interpretazione letterale dell’art. 4 della L. n. 89 del 2011 seguita dalla Corte d’appello, nella parte che esclude la proponibilità della domanda di equa riparazione durante la pendenza del giudizio presupposto, si interrogava sulla legittimità costituzionale di tale articolo. Infatti, questi sollecitava l’intervento della Consulta evidenziando come il differimento dell’esperibilità del rimedio all’esito del giudizio presupposto ponesse un pregiudizio alla sua effettività.

La Corte Costituzionale nella richiamata sentenza rileva che:

“Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge n. 89 del 2011, in riferimento agli artt. 3, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU, è fondata.
Scrutinando la stessa questione di legittimità costituzionale, questa Corte aveva già riscontrato la lesione dei citati parametri, evidenziando «la necessità che l’ordinamento si doti di un rimedio effettivo a fronte della violazione della ragionevole durata del processo, […] la “priorità di
valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per aggiungere un fine costituzionalmente necessario” […e] che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al problema individuato nella presente pronuncia» (sentenza n. 30 del 2014).
L’art. 1, commi 777, 781 e 782, della legge n. 208 del 2015 ha modificato la legge n. 89 del 2001,
tra l’altro introducendo una serie di rimedi preventivi il cui mancato esperimento rende inammissibile la domanda di equa riparazione (art. 2, comma 1, della legge Pinto, come modificata)
– per i processi che al 31 ottobre 2016 non abbiano ancora raggiunto una durata irragionevole né siano stati assunti in decisione (art. 6, comma 2-bis, della legge Pinto come modificata) – e che, in relazione alle diverse tipologie processuali, consistono o nell’impiego di riti semplificati già previsti dall’ordinamento (art. 1-ter, comma 1, della legge Pinto come modificata) o nella formulazione di istanze acceleratorie (art. 1-ter, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge Pinto come modificata).

Secondo la costante giurisprudenza della Corte EDU, i rimedi preventivi sono non solo ammissibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma addirittura preferibili, in quanto volti a evitare che il procedimento diventi eccessivamente lungo; tuttavia, per i paesi dove esistono già violazioni legate alla sua durata, per quanto auspicabili per l’avvenire, possono rivelarsi inadeguati (Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino c. Italia).

Già tale rilievo mina in radice l’idoneità dell’iniziativa assunta dal legislatore a sopperire alla carenza di effettività precedentemente riscontrata, posto che i rimedi introdotti non sono destinati a operare in tutte le ipotesi – tra cui quelle al vaglio nei giudizi a quibus – nelle quali, al 31 ottobre 2016, la durata del processo abbia superato la soglia della ragionevolezza.

A ciò si aggiunga che la Corte EDU «ha riconosciuto in numerose occasioni che questo tipo di mezzo di ricorso è “effettivo” nella misura in cui esso velocizza la decisione da parte del giudice competente» (Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino c. Italia).

Nella fattispecie, da un lato, tutti i rimedi preventivi introdotti, alla luce della loro disciplina processuale, non vincolano il giudice a quanto richiestogli e, dall’altro, per espressa previsione normativa, «[r]estano ferme le disposizioni che determinano l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti» (art. 1-ter, comma 7, della legge Pinto come modificata).
Tali rilievi, evidentemente, ne pregiudicano la concreta efficacia acceleratoria.

La conclusione trova conforto in quanto recentemente affermato dalla Corte EDU (sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri c. Italia), pronunciando in ordine all’istanza di prelievo alla cui formulazione l’art. 54 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, subordinava la proponibilità della domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo amministrativo.

Tale istanza, che costituisce l’archetipo di gran parte dei rimedi preventivi di nuova introduzione, è stata ritenuta dalla Corte EDU priva di effettività. Alla stregua delle considerazioni che precedono si deve concludere che, nonostante l’invito rivolto da questa Corte con la sentenza n. 30 del 2014, il legislatore non ha rimediato al vulnus costituzionale precedentemente riscontrato e che, pertanto, l’art. 4 della legge n. 89 del 2001 va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere proposta in pendenza del procedimento
presupposto (analogamente, sentenza n. 3 del 1997).”

***

Se ritiene di aver subito o di subire un procedimento dalla durata irragionevole, ed hai intenzione di proporre ricorso per ottenere il dovuto risarcimento, chiama il numero verde 800-973078. Riceviamo presso lo Studio Legale in Bari.

***

Durante il primo colloquio valuteremo l’effettiva possibilità di ottenere il risarcimento previsto dalla legge Pinto e/o ricevere informazioni al riguardo.

***

Se vuoi conoscere i costi del servizio, clicca qui !

Allegato:
Corte Costituzionale Sentenza n. 88 del 26/04/2018

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.