Tra le tante restrizioni della nuova legge Pinto vi è l’obbligo di provvedere alla notifica del decreto di condanna al pagamento dell’indennizzo per il processo troppo lungo al ministero della Giustizia (ed all’Avvocatura dello Stato) entro il termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione insieme al ricorso; altrimenti sarà dichiarato inefficace.
Secondo l’articolo 5 della legge 89 del 2001 (modificato dal Dl 83/2013), infatti, il decreto che accoglie anche solo in parte la domanda deve essere notificato, insieme al ricorso, in copia autentica al ministero nei cui confronti la domanda è stata proposta.
Quindi, se il ricorrente non provvede alla notifica all’amministrazione del decreto entro 30 giorni dal deposito in cancelleria, il decreto diventa inefficace e la domanda di equa riparazione si consuma
definitivamente e non può essere riproposta.
Il ministero passivamente legittimato non ha difatti alcuna conoscenza della domanda di equa riparazione se non dopo il suo eventuale accoglimento e dopo l’eventuale notifica curata dal ricorrente.
La Corte d’Appello di Napoli (Presidente De Tullio, relatore Cataldi) chiamata a giudicare un giudizio in cui accolta la domanda di equa riparazione in base alla legge Pinto (89/2001) seguendo la nuova procedura introdotta dal decreto legge 83/2012, il ricorrente aveva notificato il solo decreto e non anche la copia dell’originario ricorso, aveva ritenuto fondata l’opposizione spiegata dal ministero.
Il ministero, infatti, aveva sostenuto che il decreto doveva essere dichiarato inefficace perché nel termine perentorio non era stato notificato anche il ricorso.
I giudici con l’ordinanza del 5 novembre hanno evidenziato che lo scopo della «imprescindibile notifica, oltre che del decreto, anche del ricorso» è quella di consentire al ministero una «lettura congiunta dei due atti». Solo così potrà infatti «valutare, dal proprio punto di vista, la fondatezza o meno della pretesa avversa, la correttezza o meno della decisione e valutare conseguentemente l’opportunità di proporre o meno l’opposizione».
A nulla erano valse le considerazioni della difesa che aveva sostenuto come il decreto, proprio perché per legge motivato, si prefigura come atto «autosufficiente», così da rendere la notifica anche del ricorso un adempimento non essenziale.
La Corte ha respinto tale argomentazione segnalando che «anche il decreto più analitico e motivato potrebbe incorrere in un vizio di ultra petizione, rilevabile unicamente dal raffronto con la domanda contenuta nel ricorso».
La difesa aveva altresì richiamato l’articolo 5 della legge 89/2001 all’articolo 640 del Codice di procedura civile, sostenendo che l’opposizione aveva dato vita a un giudizio ordinario di cognizione, così come accade con la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo; pertanto, aveva chiesto che comunque i giudici si pronunciassero non sull’efficacia del decreto ma sulla fondatezza della sua richiesta di indennizzo.
La Corte ha sottolineato che l’opposizione al decreto in base alla legge Pinto è disciplinata nelle forme del giudizio camerale regolato dall’articolo 737 del Codice di procedura civile e non può aprire un giudizio ordinario a cognizione piena.
In conclusione il mancato rispetto dei 30 giorni genera inefficacia sopravvenuta, precludendo l’esame dell’originaria fondatezza della domanda.
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