Il sistema giudiziario italiano, fino a circa 50 anni fa, non prevedeva una tutela diretta ed immediata nel caso venisse violato un diritto fondamentale del cittadino: quello della certezza e celerità del diritto durante l’espletamento di un processo giudiziario, richiedendo che lo stesso giungesse a conclusione in un termine breve e ragionevole.
Spesso, infatti, la notevole burocrazia, le storture giudiziarie e la mole di lavoro rispetto agli effettivi addetti ad amministrare la giustizia, hanno portato ad attese sconcertanti e abnormi dei giudizi pendenti, a volte superando i decenni prima di avere contezza della risoluzione dei casi, con conseguenti danni patrimoniali e non, per coloro che subiscono l’incertezza della situazione giuridica.
Un primo intervento per riconoscere e tutelare il diritto ad una ragionevole durata del processo è sorto grazie alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo, in applicazione della Convenzione Europea per la Salvaguarda dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, nota come CEDU, sottoscritta e recepita dai Paesi europei, tra cui l’Italia.
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