La Legge Pinto ed il processo penale

Il nostro ordinamento, fino a circa venti anni fa, era privo di uno strumento concreto che tutelasse tutti coloro che, parti di un processo giudiziario, subissero irrimediabilmente dei danni in seguito al protrarsi oltre misura della situazione giudiziaria pendente. Siamo abituati, infatti, a sentir parlare di cause decennali, in cui le udienze si susseguono senza soluzione di continuità, i giudici si alternano e gli avvocati difensori spesso risultano stanchi dell’avvicendarsi giudiziario, senza ottenere un celere riscontro al loro lavoro.

È in un contesto come questo che le parti processuali, indipendentemente se siano attori o convenuti, possono facilmente lamentare pregiudizi derivanti dalla eccessiva tempistica processuale: si pensi alle spese di giustizia, che occorre sopportare per l’avvicendarsi dei diversi gradi di giudizio; agli oneri e alle parcelle professionali dei difensori coinvolti; ma altresì all’ansia, al turbamento, allo stato di angoscia di tutti coloro che restano in attesa di un responso e che subiscono il trascorrere del tempo. Una simile situazione, generatrice di un danno patrimoniale e non patrimoniale, richiede una tutela specifica, affinché si possa garantire una giustizia sana ed equa.

Lo strumento ci è stato offerto già con la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, conosciuta meglio come CEDU, il cui art. 6 prevede il diritto ad ottenere una equa riparazione per il mancato rispetto di un ragionevole termine processuale: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.”

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Applicazione della Legge Pinto al processo tributario.

Negli ultimi anni il sistema normativo italiano si è adeguato alla normativa europea, in un contesto di partecipazione attiva ad un processo di creazione di una Europa unita non solo dal punto di vista sociale ed economico, ma anche giuridico. Gli Stati europei, infatti, hanno dato vita, nel corso degli anni, non solo alla Unione Europea, ma anche ad una serie di organismi collaterali, tra cui possiamo richiamare il Consiglio d’Europa, il cui compito fondamentale è quello di diffondere la difesa dei diritti umani, delle democrazie e dello Stato di diritto. Ed è in seno allo stesso che viene proclamata la famosa CEDU – Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, che riconosce e garantisce a livello europeo i diritti fondamentali dell’uomo e la cui applicazione da parte di tutti gli Stati membri viene garantita dalla Corte Europea di Giustizia di Strasburgo.

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Legge Pinto e gratuito patrocinio: requisiti e procedura.

Spesso si sente parlare di strumenti giuridici che tutelano tutti coloro che subiscono danni dal protrarsi, per lungo tempo, dei processi giudiziari, sia in ambito civile, che in quello penale ed amministrativo.

Non può dubitarsi che le lungaggini dei Tribunali italiani, per dirimere i vari contenziosi, possano essere considerati oramai alla stregua di una piaga, per la quale il cittadino incolpevole non riesce a trovare cura.

Non solo lo Stato Italiano, ma anche gli altri Stati facenti parte del Consiglio d’Europa, nel corso degli anni, hanno cercato di porre rimedio ai tempi biblici della giustizia, dapprima con la stesura della conosciuta Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (c.d. CEDU), che rappresenta il baluardo per una giustizia efficiente e concreta (vedi nello specifico l’art. 6), cui l’Italia ha cercato di adeguarsi al fine di dare certezza e celerità al diritto applicato al caso concreto.


I risultati ottenuti sono risultati, però, insoddisfacenti, viste le continue e ripetute denunce che i giudici italiani hanno subito per la violazione dell’art. 6 della CEDU, che sancisce il principio secondo cui “ogni persona ha diritto a che la causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge”.

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Legge Pinto e contumacia della parte

Il nostro sistema giuridico si caratterizza per la possibilità di poter difendere un proprio diritto leso attraverso l’instaurazione di un giudizio, presieduto da un giudice terzo ed imparziale, il quale, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, dovrà condurre la causa e pervenire ad una sentenza che ponga fine alla controversia legale.

Le garanzie processuali che permeano il processo, sia esso civile o penale, concedono alle parti costituite di poter avanzare le proprie richieste, rispettando rigorosamente la tempistica processuale, pena il subire le preclusioni previste e disciplinate dai rispettivi codici di procedura.

I processi giudiziari, infatti, sono cadenzati nel tempo e consentono di avanzare le proprie pretese non certo ad libitum, ma osservando dei termini certi e puntuali.

Ma come inizia, nello specifico, un giudizio civile? Chi volesse tutelare un proprio diritto, che si presume leso, dovrà procedere con la “chiamata in giudizio” o vocatio in jus: l’atto di citazione in giudizio è il primo atto che determina l’instaurarsi di un processo e che dovrà essere necessariamente portato a conoscenza della controparte, attraverso lo strumento della notifica.

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Legge pinto: Il giudice competente – evoluzione della norma.

Il sistema giudiziario italiano, fino a circa 50 anni fa, non prevedeva una tutela diretta ed immediata nel caso venisse violato un diritto fondamentale del cittadino: quello della certezza e celerità del diritto durante l’espletamento di un processo giudiziario, richiedendo che lo stesso giungesse a conclusione in un termine breve e ragionevole.

Spesso, infatti, la notevole burocrazia, le storture giudiziarie e la mole di lavoro rispetto agli effettivi addetti ad amministrare la giustizia, hanno portato ad attese sconcertanti e abnormi dei giudizi pendenti, a volte superando i decenni prima di avere contezza della risoluzione dei casi, con conseguenti danni patrimoniali e non, per coloro che subiscono l’incertezza della situazione giuridica.

Un primo intervento per riconoscere e tutelare il diritto ad una ragionevole durata del processo è sorto grazie alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo, in applicazione della Convenzione Europea per la Salvaguarda dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, nota come CEDU, sottoscritta e recepita dai Paesi europei, tra cui l’Italia.

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Legge Pinto e procedure concorsuali

Il nostro sistema giuridico si è particolarmente evoluto nel corso degli ultimi anni, soprattutto in considerazione delle nuove esigenze sociali e giuridiche che sono emerse e alla evoluzione storico/normativa che viviamo costantemente. Un ordinamento giuridico deve, infatti, costantemente ascoltare i problemi e le richieste dei suoi consociati e deve progredire di pari passo per evitare di diventare anacronistico e inadatto a tutelare le situazioni giuridiche che, man mano, si presentano al vaglio.

Tra le situazioni giuridiche che hanno richiesto un intervento legislativo al fine di tutelare le posizioni sottostanti, rientra indubbiamente quella della lungaggine giudiziaria: il nostro sistema giustizia ha visto sempre più frequentemente il prolungarsi di processi oltre ogni ragionevole e legittima aspettativa, causando danni alle parti in causa.

Gli esempi sono diversi: come non pensare ai lunghi processi civili, che vedono i difensori e i giudici alternarsi in udienze decennali, così come quei processi penali che spesso si chiudono per intervenuta prescrizione del reato, a seguito del decorso del tempo.

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Il Mef attiva un numero dedicato alle pratiche relative alla Legge Pinto ed alle sentenze CEDU

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha attivato il numero 06.4761.5587 a cui i cittadini che hanno proposto un ricorso ex Legge Pinto possono chiamare. Gli operatori sono stati formati per dare tutte le informazioni sui pagamenti relativi agli indennizzi a titolo di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole di durata dei processi (Legge Pinto) ed a quelli maturati a seguito di pronunce di condanna emesse dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per l’inosservanza dei diritti sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Orari del Contact Center dell’Ufficio X:

dal lunedì al venerdì: dalle ore 9:00 alle ore 12:30.

Martedì, mercoledì e venerdì dalle 15:00 alle 17:00.

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Se ritiene di aver subito o di subire un procedimento dalla durata irragionevole, ed hai intenzione di proporre ricorso per ottenere il dovuto risarcimento, chiama il numero verde 800-973078. Riceviamo presso lo Studio Legale in Bari.

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Durante il primo colloquio valuteremo l’effettiva possibilità di ottenere il risarcimento previsto dalla legge Pinto e/o ricevere informazioni al riguardo.

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Se vuoi conoscere i costi del servizio, clicca qui !

Legge Pinto- Il decreto ed il suo contenuto: accoglimento e rigetto

Cosa è possibile fare, oggi, al fine di tutelare la posizione di coloro che subiscono i danni derivanti dalle lungaggini della giustizia?

Il nostro ordinamento, fino a circa venti anni fa, era sprovvisto di un rimedio giudiziario tutto interno, per tutelare tutti coloro che lamentavano i danni subiti in seguito a quei processi che duravano decenni, che non davano alcuna certezza in merito al loro esito, con notevoli conseguenze non solo patrimoniali, ma anche morali. Basti pensare alle spese di giustizia che occorre affrontare per sopportare diversi gradi di giudizio, così come è indispensabile cimentarsi nello stato di turbamento e di angoscia dei soggetti coinvolti in un processo, in attesa di avere un responso e che vedono trascorrere il tempo inesorabilmente. È una situazione che genera, quindi, un nocumento sia economico che non, e che merita di essere risarcito affinché si ristabilisca un principio fondamentale, quello di una giustizia sana, equilibrata, equa e ben amministrata.

Già la nota Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, conosciuta meglio come CEDU, elaborata negli anni ’50, contiene un richiamo ben preciso al diritto ad una equa riparazione per mancato rispetto di un ragionevole termine processuale: l’art. 6 costituisce, infatti, il fondamento di una prassi giuridica che ha preso piede negli Stati firmatari e che ha consentito alle persone fisiche di rivolgersi alla Corte Europea di Strasburgo, posta a presidio della CEDU, al fine di ottenere una sentenza favorevole al riconoscimento del relativo danno.

La Corte si è ritrovata, in tal modo, sommersa dalle richieste risarcitorie, arrivando ad essere oberata e a non riuscire a gestire il relativo contenzioso, allarmando così le autorità nazionali e invocando uno strumento che si ponesse a livello interno, per porre un freno e un filtro alle varie domande proposte.

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Legge Pinto: il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
Legge Pinto e preclusioni alla luce della legge di stabilità 2016

La Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali è una convezione internazionale sottoscritta in seno al Consiglio d’Europa e ha come scopo quello di riconoscere e tutelare i diritti più importanti dell’Uomo.

La tutela prevista dalla CEDU è “effettiva” in quanto è stata prevista, negli anni ’50, la creazione anche di un organo giurisdizionale ad hoc, la Corte Europea, con sede a Strasburgo, competente a conoscere dei ricorsi presentati non solo dagli Stati aderenti alla CEDU, bensì anche dalle persone fisiche che vedono lesi i diritti riconosciuti dalla Convenzione. Anche l’Italia ha aderito alle disposizioni contenute nella CEDU, ratificandola e dandone esecuzione nell’ordinamento interno attraverso la Legge n. 848/55. A partire da quel momento, il nostro ordinamento si è conformato a quanto previsto a livello europeo, riconoscendo la possibilità di adire la Corte nel caso in cui vengano violati i diritti riconosciuti e tutelati dalla Convenzione e aventi efficacia per tutti i Paesi aderenti alla stessa.

Il ricorso alla Corte Europea di Strasburgo ha avuto, nel corso degli anni, uno sviluppo inaspettato: diverse sono state le sentenze emesse dalla Corte e che hanno coinvolto lo Stato italiano, creando una giurisprudenza di tutto riguardo, la cui osservanza è stata sin da subito oggetto di monito per i giudici nazionali. Diversi i diritti enunciati dalla CEDU che meritano di essere richiamati: il diritto alla vita; il diritto alla libertà e alla sicurezza personale; il diritto alla libertà di pensiero e di opinione, di riunione e di associazione; il diritto ad un’equa amministrazione della giustizia.

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Legge Pinto: Sentenza sul Danno Patrimoniale e perdita di chance

Nell’ambito del danno indennizzabile ai sensi della cd. legge Pinto (89/2001) rientra sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale (articolo 2, comma 1, prima parte). In tal senso, del resto, è la stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale non esclude affatto tale voce dall’ambito del pregiudizio astrattamente indennizzabile, limitandosi solo a chiedere la prova della sua sussistenza.

La legge Pinto impone al giudice, che ritenga sussistente un danno patrimoniale, in conseguenza della accertata irragionevole durata del procedimento (civile o penale) presupposto, di provvedere a valutare i danni, ai sensi dell’articolo 2056 Cc, e cioè liquidando il lucro cessante in via equitativa (articolo 2056, secondo comma) e il danno emergente ai sensi degli articoli 1223 o 1226 Cc, e cioè provandolo (an), anche nel suo specifico ammontare (quantum) ovvero ‑ sotto questo ultimo aspetto ‑ chiedendo al giudice una liquidazione in via equitativa.

La precisa indicazione di un ammontare del danno che, per quanto problematica, non è ipotesi che può essere esclusa in astratto, va ‑ naturalmente ‑ ipotizzata solo in quanto «conseguenza immediata e diretta» dell’eccesso di durata del procedimento, non quale danno complessivamente subito in ragione dei provvedimenti adottati nel corso del procedimento (nella specie: la privazione della libertà personale) o dallo stesso instaurarsi del procedimento (che poi ‑come nella specie ~ si sia concluso con l’assoluzione dell’imputato).

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